A Thousand and One, la recensione

A Thousand and One è soprattutto il ritratto di una città e di come cambia nel tempo - New York. Si inizia nel 1994 e si finisce a metà degli anni 2000: nell’arco di quasi vent’anni, A. V. Rockwell erge i suoi due protagonisti a exemplum dei newyorkers della periferia

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La recensione di A Thousand and One, al cinema dal 29 giugno

Più che la storia di un travagliato rapporto madre-figlio, A Thousand and One è soprattutto il ritratto di una città e di come cambia nel tempo - New York. Si inizia nel 1994 e si finisce a metà degli anni 2000: nell’arco di quasi vent’anni, la regista e sceneggiatrice A. V. Rockwell (qui esordiente) erge infatti i suoi due protagonisti a exemplum dei newyorkers della periferia. I personaggi di A Thousand and One più che stereotipi (hanno comunque una buona consistenza narrativa) sanno più che altro di interesse secondario del film: il primo e tangibile desiderio di A. V. Rockwell è infatti quello di raccontare Harlem, le dinamiche sociali e politiche della comunità afroamericana suburbana. 

Da questo punto di vista A Thousand and One è un ottimo film di contesto, ma meno character-driven di quanto si pensi. La premessa, che potrebbe trarre in inganno, è quella della classica storia di “vita vissuta”: quella di Inez (Teyana Taylor), che all’inizio del film esce dal carcere di Rikers e ritorna in quartiere, dove la aspetta il piccolo T, un bambino dagli occhi grandi e già spaventato dalla vita. Inez sembra incarnare la classica criminale, e invece la sua non è una storia di liberazione da una dipendenza ma di mantenimento di una dignità: di madre, di lavoratrice onesta. Inez rapisce il suo stesso figlio dai servizi sociali per crescerlo da sé (poi con Lucky, con cui costruisce una famiglia), e nell’arco di questi vent’anni di A Thousand and One arriveremo a capire davvero il suo conflitto soltanto a una manciata di minuti dalla fine. L’effetto sarà devastante, intenso, ma certo non potrà cancellare la fatica di visione con cui è stato necessario arrivarci.

Il fatto è che A Thousand and One gioca molto sulla casualità del realismo della vita quotidiana, più che seguire una sceneggiatura sembra prendere spunto da un canovaccio e giocare in stile libero sulle possibilità che ogni giornata offre ai personaggi. Una scelta che sa da una parte penalizza la coesione del film, dall’altra è il terreno perfetto per giocare su ciò che accade attorno ai personaggi.

Attraverso notiziari, i servizi sociali, la polizia, vediamo Harlem cambiare nel suo paesaggio urbano e sociale e come il passare degli anni porti diverse generazioni a nuove possibilità e nuovi problemi. La gentrificazione è il movimento che porta il quartiere e chi ci abita a mutare letteralmente volto: e così un nuovo padrone di casa, con le sue strategie immobiliari che sanno di scelte politiche guidate dall’alto, è mille volte più esplicativo di tante scene di litigate.

Nonostante lo sbandamento del focus narrativo, A Thousand and One è un film che mostra la qualità di A. V. Rockwell di narratrice del reale, delle dinamiche che sottendono alla trama. Con una regia secca ma a suo modo incantata (le panoramiche a volo d’uccello sulla città svelano subito il suo amore per quella materia), A. V. Rockwell ci porta dentro quel mondo e ci permette di osservarlo - con una grande dignità - dall’interno.

Siete d’accordo con la nostra recensione di A Thousand and One? Scrivetelo nei commenti!

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