A Quiet Place: Giorno 1, la recensione
Puro dispositivo di tensione e paura A Quiet Place: Giorno 1 si distingue per un'inedita rassegnazione alla tragedia
La recensione di A Quiet Place: Giorno 1, il film prequel della saga che esce in sala il 27 giugno.
A Quiet Place: Giorno 1 non è uno dei film migliori della stagione, per quanto il meccanismo di tensione e paura che reggeva gli altri due film ci sia, e funzioni più che discretamente anche qui, ma è uno di quelli in cui con maggiore evidenza emergono sentimenti e sensazioni del presente americano. A lungo Sarnoski (che non viene dal cinema mainstream ma da quello indipendente) sembra voler far funzionare il film come un puro dispositivo. Un canovaccio c’è (e ha le caratteristiche di superficiale originalità tipiche del cinema indipendente americano) ma è così inutile che per gran parte vediamo quasi cinema non-narrativo che assolve più che altro alle funzioni del suo genere: spaventare e mettere tensione. Quando (troppo tardi) sconfina nella creazione di personaggi, archi narrativi e una forma di purificazione molto bambinesca, è semplicemente terribile. Nelle parti in cui dovremmo conoscere meglio i personaggi il film diventa apertamente dozzinale. Meglio quando si maschera da puro dispositivo per l’elicitazione di sensazioni forti attraverso la tensione.
Da sempre uno dei cardini del catastrofico e dell’horror americani mainstream è il desiderio, nonostante tutto, di non darsi per vinti. Il cinema americano, quando racconta le apocalissi, lo fa per affermare lo spirito indefesso del suo popolo, per mettere uomini e donne a confronto con situazioni disperate così che possano ribaltarle battendosi e trovare, alla fine e contro ogni previsione, una salvezza. Il coraggio, la carità, la pietà e l’affetto sono i valori che vengono reiterati in questa maniera (c’è sempre il personaggio egoista che muore a differenza dei protagonisti pronti a sacrificarsi). A Quiet Place: Giorno 1 trova la pace dei sensi e la sublimazione di ogni inquietudine dei suoi personaggi nella rassegnazione alla morte e alla fine di tutto. Il cuore del film e ciò che anima i suoi movimenti non è più la lotta contro la tragedia che arriva, anche solo per ricostruire una forma di equilibrio come avveniva nei primi due e andare avanti nonostante tutto, ma una serena forma di accettazione che non c’è più niente da fare.