A Come Ignoranza 6, la recensione
Dopo un anno di A Come Ignoranza le situazioni non-sense e i personaggi demenziali abbondano... ma sono sufficienti a tenere in piedi una serie bimestrale?
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Il bilancio dopo i primi sei numeri purtroppo conferma le nostre supposizioni: A Come Ignoranza funziona come raccoglitore di gag, sketch e storie brevi, ma purtroppo si confermano "solo" un raccoglitore di prodotti simili a quanto Daw aveva realizzato finora. Non c'è un ordine di alcun tipo in ciò che propone, non c'è il minimo accenno di serialità in quanto viene proposto, non c'è un filo conduttore che lega i diversi racconti, non c'è un motivo chiaro per cui si riporta in scena il tal personaggio o il tal "filone narrativo" (se così possiamo chiamarlo). Addirittura l'autore nell'editoriale di questo numero si scusa coi lettori se non vedono il loro personaggio preferito da troppo tempo, qualunque esso sia, assicurandogli che presto tornerà; l'impressione è che Daw peschi nel suo numeroso cast e di volta in volta imbastisca attorno a una manciata di suoi personaggi quelle che potrebbero essere considerate soltanto delle lunghe barzellette.
Soltanto.
Sì, perché una serie regolare in edicola permette di certo di costruire qualcosa in più, lo ribadiamo come avevamo già scritto nella recensione del primo numero, ed è un'occasione sprecata confezionare un albo in cui fin troppi personaggi si alternano in fumetti del tutto slegati tra loro, tra strisce, tavole autoconclusive, storie di poche pagine o racconti che arrivano anche a una ventina di pagine. L'impressione trasmessa è caos, e per quanto potrebbe avere un senso in un'antologia realizzata da più autori, non può funzionare quando è l'opera di una sola mente.
Passando a parlare nello specifico di questo sesto numero, pur soffrendo dei sopracitati difetti, è l'albo più riuscito dopo quello d'esordio: le situazioni demenziali sono particolarmente fuori di testa e divertenti, con situazioni surreali che sfruttano a dovere i personaggi migliori di Daw. In particolare va citata, soprattutto per gli appassionati di fumetti, la storia X Brutto, nella quale viene messo in scena uno scontro tra due fazioni di personaggi chiaramente ispirati agli X-Men, ma con poteri assurdi in grado di strappare più di una risata. Anche in questo caso però, pur apprezzando l'episodio, non si può non notare che la vicenda comincia come una storia del Malvagio Dottore, mettendo poi in secondo piano il protagonista per lasciare spazio al pantheon di buffi mutanti, lasciando la sensazione che questi personaggi -così efficaci- abbiano avuto il sopravvento sulla trama originale in corso d'opera.
Si può forse riassumere in questo il difetto principale di A Come Ignoranza: nella sua follia (senza la quale ovviamente i suoi fumetti non potrebbero essere così divertenti) Daw crea qualcosa che sembra realizzato all'impronta, senza avere un'idea chiara di cosa succederà nella pagina successiva a quella che sta disegnando. Genio in sregolatezza?
Sicuramente questo ha una sua identità e uno stile diverso dagli altri, ma dopo qualche numero ci ha annoiato e vorremmo qualcosa di più.21
Come nel primo numero poi, Daw conclude con un breve fumetto autobiografico di cui è protagonista, in cui mette in gioco il suo vittimismo (un po' reale, un po' ormai parte del suo personaggio) per farsi da solo le stesse critiche che ci sono sorte durante la lettura. Questo strappa un sorriso, è sintomo di autoironia e anche di saper riconoscere i propri difetti, ma non è sufficiente a perdonarglieli; avevamo dato fiducia all'autore dopo che nel numero di esordio aveva aperto il cuore esprimendo i suoi dubbi e le paure, ma se purtroppo da allora non c'è stato alcun segnale di cambiamento risulta difficile credere che potrà avvenire d'ora in poi.