A casa tutti bene, stagione 2, la recensione

La seconda stagione di A casa tutti bene cerca di moltiplicare l'intensità della prima ma perde talvolta l'attrito e sporca la sua traiettoria

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Il cinema di Gabriele Muccino si basa sui legami e su ciò che più li intreccia: la famiglia. Lei è ripresa come un essere vivente, in movimento e inquieto. A casa tutti bene - La serie è la summa di questa visione. Racconta le vicende di parenti, ciascuno con problemi che basterebbero a riempire un film a parte. Questi deflagravano alla fine della prima stagione in un vortice totalmente mucciniano di drammi, grida, traumi, difficile da superare.

Contrariamente ai cliché di gran parte del cinema (non solo statunitense), qui per poter vivere serenamente bisogna scappare dalla famiglia, allontanarsi da quelle parentele che portano guai. Con la seconda stagione di A casa tutti bene i personaggi che restano dimostrano di essere condannati a un limbo, un eterno ritorno della sofferenza.

A casa tutti bene parte da dove aveva finito

Continuano i turbolenti rapporti tra i Ristuccia e i Mariani esattamente da dove avevano terminato. A far da catalizzatore di tutti i segreti della prima stagione è l’incidente di Ginevra. Lei non ricorda nulla di ciò che ha appreso. Un omicidio del passato, nascosto e riemerso dalla terra. Un passato e un presente di una famiglia impeccabile di facciata, corrosa all'interno, che può distruggerli in ogni momento. Una crepa nei Ristuccia e nelle pareti del San Pietro. 

In parallelo e contemporaneamente (questo il ritmo con cui procede la serie) Luana e Riccardo si sono solo illusi di avere risolto i loro problemi con la malavita. Alba continua a tirare le fila e il figlio Paolo sta perdendo l’affido del figlio Giovanni. 

Vite su vite che si sommano, si intrecciano, ritornano parallele e poi deviano e si incontrano ancora in maniera incendiaria. Il gioco, che nella prima stagione funzionava bene, fatica questa volta a recuperare la tensione dopo l'esaurimento del climax. C’era un senso di apocalisse famigliare imminente che qui si stempera molto. 

Muccino va veloce, molto veloce, forse troppo. A un anno di distanza ci si sente sperduti come Sandro Mariani (un Valerio Aprea caricaturale in modo inaccettabile) malato di Alzheimer. Poco personaggio, è più un dispositivo narrativo per ribadire nomi, famiglie, caratteri, legami. Serve, eccome se serve!

Questa seconda stagione dimostra che Gabriele Muccino va preso tutto d’un fiato (a chi guarderà A casa tutti bene in futuro si consiglia il binge watching). Se si perde il ritmo è difficile rientrare.

Questi nuovi episodi non riescono però a mantenere quel sottile equilibrio che permette di aderire alla pulsione autodistruttrice dei personaggi. La ricerca di momenti enfatici si trasforma in ridondanza di scene madri. Quando però tutto prova ad essere dramma, nulla lo è più veramente. 

Cosa succede dopo essere stati personaggi di Muccino?

A metà del primo episodio c’è un stacco di un anno che permette di fermare per un attimo le pedine. Un passo indietro per poter andare avanti ancora molte ore. Il materiale, però, inizia a far vedere la sua eccessiva dilatazione dando l'impressione di ripetersi.

La seconda stagione di A casa tutti bene permette però di fare una cosa che farà impazzire i fan del regista: fa vedere per la prima volta cosa succede ai personaggi di Gabriele Muccino dopo che sono stati travolti da un film (o una serie) di Gabriele Muccino.

I bambini hanno traumi da processare. Gli adulti, sull’orlo di una crisi di nervi, passano da uno stato di tranquillità al nervosismo velocissimi. Chi è felice va in giro cantando e lo dice a tutti per quanto è incredibile la cosa. 

Fortunatamente nei dialoghi si può intravedere dell’autoironia. Come nel personaggio dell’avvocato di questa incasinatissima famiglia che, all’arrivo nello studio del fratello più mite, dopo aver assistito praticamente tutti gli altri, dice con un sorriso: aspettavo solo te.

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