800 eroi, la recensione

Il vero assedio di un magazzino di Shanghai diventa un racconto corale senza protagonisti. 800 eroi è il cinema di propaganda spettacolare come non lo conosciamo ancora

Critico e giornalista cinematografico


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800 eroi, la recensione

Venti minuti di titoli di testa che compaiono in sovrimpressione durante fasi già concitate del film. Nessuna dilatazione come Sergio Leone, ma un numero di “eroi” non dissimile da quelli del titolo, elencati senza paura di impegnare lo spettatore. 800 eroi è il cinema cinese nella sua accezione più politica e quindi statale, è la propaganda che rinarra la vera storia per riscriverla. E come sempre la lettura del passato è finalizzata alla definizione del presente, cosa che nel film Hu Guan, non è nascosta ma anzi molto molto chiara.

È la guerra spettacolarizzata al massimo sedendosi sulle spalle del cinema occidentale per andare più in là e in un’altra direzione. 800 eroi può ricordare il cinema di guerra post-Soldato Ryan per la sporca fotografia e il caos ordinato della messa in scena, ma è in realtà pienamente un prodotto cinese, con standard, retorica e linguaggio per immagini cinesi. È la narrazione dell’eroismo e dello spirito indomabile di un popolo che sogna un domani migliore (cioè uno stato migliore) in un passato infelice, quello della seconda guerra sino-nipponica che partì nel 1937 proprio con l’evento qui raccontato: l’assedio del magazzino Sihang a Shanghai. I protagonisti sono tutti e 800 i soldati cinesi che resistettero 4 giorni morendo a grappoli. Il film cerca di tenere fede al titolo smarcando qualsiasi individualismo per raccontare la massa come nel cinema sovietico.

A puntellare gli eventi dei 4 giorni sono infatti tantissime microstorie di stampo corale che stanno insieme non come una serie di episodi ma più fuse come i puntini della pittura espressionista. Questo non significa che nel film non ci siano singoli uomini che fanno cose straordinarie, semmai che non sono importanti come persone, non ne sappiamo il nome, non ne conosciamo la personalità, non ci vengono date ragioni personali per le loro azioni, sono persone come le altre, dotate di un eroismo non diverso dagli altri. È un modo radicalmente diverso di fare cinema di propaganda rispetto agli standard individualisti statunitensi che conosciamo (l’esaltazione di un singolo eccezionale come sineddoche del paese che l’ha prodotto).

In 800 eroi i personaggi non sono nemmeno caratterizzati dal rapporto che hanno gli uni con gli altri, ma semmai da quello che ognuno ha con il conflitto. Chi lo teme e chi è un veterano, chi è animato da coraggio e chi da paura, chi urla per la paura e chi è freddo… Hu Guan è eccezionale non solo nel raccontarli ma nel fondere le storie senza dare a nessuna più importanza dell’altra, ma anzi mettendole al servizio della spettacolarizzazione. Tecnicamente 800 eroi è una bomba (c'è poco da stupirsi nel 2015 era passato a Venezia un altro film di Hu Guan, Mr Six ed era bellissimo) e lavora più che altro sul caos e sulle urla. La guerra è una massa di persone allo sbando che cercano di rimanere in ordine e di sconfiggere con efficacia un nemico più forte (ma con una moralità infinitamente minore).

Intanto fuori dal magazzino il resto del mondo guarda. Nella riva opposta del fiume, la concessione internazionale non può essere toccata dalla guerra ed è piena di stranieri benestanti, americani, francesi, tedeschi e italiani (ma anche cinesi) che osservano senza intervenire (fino a che come Rocky IV il palese eroismo non muoverà anche loro). Spesso il film mostra i suoi eventi da quel punto di vista o dallo zeppelin statunitense che vola sopra il magazzino. Se è importante parlare dell’eroismo del popolo cinese, ancora di più lo è metterlo in relazione all’atteggiamento degli altri paesi contro la Cina, l’argomento più importante del presente della nazione. In questo film di due ore e mezza che volano via di colpi simili ce ne sono tanti, momenti in cui la metafora è così sottile che è facile vedere attraverso di essa le intenzioni della mano che l’ha forgiata. Come quando un funzionario dello stato parla di resa e il montaggio alterna il discorso con le immagini dei soldati che si lavano mettendo in bella mostra le cicatrici delle guerre precedenti. Le decisioni sulla pelle degli altri.

Tra fuoco amico a chi non ha il coraggio di battersi mostrato senza vergogna, invettive contro una nazione (all’epoca non ancora comunista) debole e vittima degli altri paesi che con essa facevano i bulli, e speranze di un domani in cui ribaltare questa situazione, la storia di 800 eroi è quella di una resa. Alla fine i cinesi nonostante una resistenza eroica e strenua dovettero abbandonare quel magazzino. Ovviamente è una resa piena di onore e con ragioni tutte etiche, ma soprattutto è un gesto presentato come la fondazione della nuova Cina. I ragazzi che sopravvivono sono la generazione che 10 anni dopo avrebbe seguito Mao o come si dice nel film “voi siete la Cina migliore”.

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