8 Rue de L'Humanité, la recensione

Quanta differenza c'è tra 8 Rue de L'Humanité e il nostro Lockdown all'italiana? Innanzitutto è una questione di tempistiche

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
8 Rue de L'Humanité, la recensione

Non dobbiamo avere troppa vergogna di Lockdown all’italiana perché 8 Rue de l’Humanité non solo non è troppo diverso (fatti i necessari distinguo nazionali), ma non ha nemmeno la giustificazione di essere stato girato all’arrembaggio per aiutare l’industria del cinema nazionale. Il film francese sul lockdown è anch’essa una commedia da un campione di incassi (Dany Boon quello di Giù al Nord, l’originale di Benvenuti al Sud) e arriva un anno e mezzo dopo il primo lockdown a raccontare un momento storico adesso già lontano senza il beneficio della distanza, ma anzi con tutte le implacabili piccolezze e i difetti di uno sguardo instant.

Innanzitutto non c’è niente da raccontare. Le due ore di trama non hanno una vera trama, sono uno spaccato della vita di un palazzo in cui vivono diverse tipologie umane durante il primo lockdown. Sono persone che nemmeno si conoscono, ma che fanno di necessità virtù. I problemi raccontati sono i loro uniti a quelli che conosciamo e che hanno avuto tutti, il privato e il pubblico come nella miglior tradizione. La difficoltà a girare per strada, l’equivalente francese delle autocertificazioni, le mascherine, l’ansia del contagio e la speranza dei vaccini che si danno il cambio con le infedeltà, le crisi coniugali e i problemi economici. Senza dimenticare ad un certo punto il lutto, il rispetto per i morti e tutto quello che si conviene.

Ogni famiglia del condominio che sta al numero 8 di via dell’umanità (Dio santo!) ha un suo tipo di umorismo molto spesso portato dagli interpreti stessi, di certo mai sorprendente. Se Enrico Vanzina ha il suo immaginario da commedia viennese, così Dany Boon lavora sul suo consueto affiancare gli opposti, come il ricco proprietario di appartamenti e la brava signora che gestisce il bar, l’avvocatessa spericolata e l’ipocondriaco, il vanitoso e la donna incinta. E come non c’è vera trama non c’è neppure un vero e proprio umorismo, sono gag mediocri una in fila all’altra. Di nuovo né più né meno di Lockdown all’italiana.

Ad aggravare le situazione c’è il fatto che tutta la commedia sembra esorcizzare un passato molto recente, cioè sembra agevolare la rappresentazione di cosa abbiamo vissuto prendendo in giro paure che oggi ci suonano lontane (altre ce ne sono e quelle hanno subito un sapore ingenuo), ma non ha nessuna capacità di lettura critica, tramite l’umorismo, della realtà. Mettere in scena il lockdown è quasi doveroso e verrà il momento che anche i migliori cineasti si cimenteranno con l’impresa, ma non solo sarà obbligatorio pretendere molta più sintesi di questo film innamorato di sé che fatica a reggere già nella prima ora (figuriamoci in tutta quell’altra che lo separa dalla fine!), ma poi sarà anche doveroso pretendere un punto di vista che non sia solo l’inserimento di personaggi ridicoli in una situazione che conosciamo.
Cosa guardiamo a fare una storia che rimette in scena il nostro passato recente, e lo fa con la lente della comicità, se questo umorismo non è in grado di dirci niente su di noi e su quel che è accaduto?

Sei d'accordo con la nostra recensione di 8 Rue de L'Humanité? Scrivicelo nei commenti

Continua a leggere su BadTaste