60 minuti, la recensione

60 minuti perde per strada il divertimento del cinema di arti marziali affogando tutto in una trama mal scritta e invasiva

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La recensione di 60 minuti, il nuovo film diretto da Philip Koch, in streaming su Netflix dal 19 gennaio.

Per funzionare, un film come 60 minuti avrebbe dovuto staccare qualche pagina dal manuale di John Wick. Coi film della coppia Chad Stahelski-Derek Kolstad il nuovo prodotto Netflix ha in comune una certa aria da artigianato d’azione, fatto “da e per” appassionati di MMA come JW è fatto “da e per” cultori di arti marziali e stunt rocamboleschi. In qualche momento quell’aria caciarona si respira anche: le botte, un certo approccio fisico alla città quasi da parkour movie, un cast che può contare su volti come la statuaria stuntwoman Marie Mouroum (Black Panther, No Time to Die). Fosse stato tutto così poteva essere un divertissement piacevole. Peccato che l’azione finisca annacquata da uno sfondo narrativo risaputo e mai convincente, che le ruba costantemente la scena rendendo interminabili i 95 minuti scarsi di durata.

A Berlino un campione di MMA (Emilio Sakraya) si ritrova a dover combattere proprio il giorno del compleanno di sua figlia. Quando la ex-moglie lo scopre minaccia di non fargli più vedere la bambina se non tornerà subito a casa. Ha solo 60 minuti per farlo, cercando di sfuggire ai mafiosi che organizzano l’incontro e trovando anche il tempo di fare un salto al gattile municipale a prendere un cucciolo per la figlia. Sulla strada, come richiede il genere, incontrerà solo persone disposte alla rissa, pretesto per un percorso a livelli dove il nostro potrà sfogare tutte le sue abilità marziali contro nemici poco attaccati alla vita.

Il grande pregio del primo John Wick (2014) era stato capire che una premessa così allegramente decerebrata non aveva bisogno di alcun pretesto narrativo. Quello scelto era così improbabile da risultare autoironico, e il film non faceva mai finta di essere altro che una serie di divertenti sequenze d’azione. A una premessa altrettanto ridicola 60 minuti fa invece corrispondere un tono insopportabilmente serioso, condito da quel sentimentalismo da latte alle ginocchia che dai Rocky in poi – ma senza la grazia di Stallone – ha piagato e reso indigesti tanti film simili. Un energumeno che spacca ossa in un mondo astratto e iperbolico è divertente. Un energumeno che spacca ossa per ricongiungersi con la figlia di cui ha perso la custodia, giustificando la propria violenza in chiave reazionaria e familista, è patetico.

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