50 Km all'ora, la recensione
Con un compendio di situazioni usuali e solo uno dei suoi due attori che si impegna, sembra che 50 Km all'ora non ci provi nemmeno
La recensione di 50 Km all'ora, il nuovo film diretto da Fabio De Luigi in sala dal 4 gennaio
Invece il viaggio di Fabio De Luigi e Stefano Accorsi, fratelli separati dal ribellismo, uno rimasto al capezzale del padre poi morto e l’altro in giro per il mondo con un lavoro strano (gestione eventi su navi da crociera) portato avanti con gli auricolari bluetooth e le telefonate selvagge da manager, passa per tutte le tappe dei viaggi italiani: le sequenze musicali (in quantità spropositata), le partitelle (anche lì tantissime, anche oltre quella inevitabile a calcio), l’incontro sessuale occasionale e il tentativo di non pagare il ristorante. Questo film ricalca così tanto le solite trovate da dare l’idea che sia stato composto senza nessuna ispirazione ma aggregando sequenze di provata efficacia a partire da un film tedesco (25 Km/h).
È quel personaggio lì, il fratello scapestrato ed egoriferito, quello centrale, perché l’altro, quello di Fabio De Luigi non è niente. Come spesso gli capita i suoi personaggi soffrono un grigiore di scrittura intenzionale e deleterio che non viene mai superato né si fa paradigma e quindi alla fine non dice niente. Invece l’altro beneficia dell’impegno sovradimensionato di Stefano Accorsi, che recita l’essere fratelli per due (De Luigi recita di rimessa), interpreta la nostalgia, il desiderio di tornare ragazzi, di vivere in quella maniera e a tratti trova quasi un senso in questa storia. Lo trova in come recita le piccole interazioni o i momenti di soddisfazione, quella liberatoria e fulminea sensazione di benessere che deriva dall’aver fatto aderire i desideri più intimi con le proprie azioni. Sono attimi fugaci di puro accorsismo in cui godere almeno di qualcosa di sensato in un film che per il resto un senso non lo trova mai, tantomeno un umorismo funzionale, e cerca più che altro il piacere della nostalgia.