40 carati, la recensione
Pensato per essere un concetrato di ritmo e di poche parole, riesce fin troppo nel suo obiettivo. Dietro la rapina non c'è veramente nulla...
Storia di riconquista della giustizia, di uomini, padri, fratelli e poliziotti traditi. C'è molta carne al fuoco in 40 carati, tutta messa ad abbrustolire attorno a due fuochi che lentamente convergono in uno. Il primo è quello di un uomo in piedi sul cornicione di un grattacielo, apparentemente pronto a buttarsi ma in realtà (lo capiamo subito) intenzionato ad attirare l'attenzione, l'altra è quella della più classica delle grandi rapine, un colpo audace e meticolosamente preparato, perpetrato però da due neofiti.
Con una blanda idea di critica sociale che cavalchi l'attualità (crisi economica e lotta dei poveri contro i grandi della finanza), 40 Carati non perde tempo in chiacchiere e va dritto al punto. Più della complessità quello che interessa al film è la tensione e il ritmo, unica possibile pausa concedibile è quella per mettere in mostra il fisico di Genesis Rodriguez.
Sull'altare del passo svelto vengono così sacrificate motivazioni, sfumature o possibili originalità. Ed Harris è un cattivo dalla risata malvagia che brinda alla perfidia davanti ad un plastico della sua prossima costruzione aggressiva, Sam Worthington ha previsto tutto l'imprevedibile, Elizabeth Banks è la negoziatrice che avrà la sua seconda occasione dopo un caso andato male e Jamie Bell con Genesis Rodriguez sono i rapinatori imbranati ma funzionali che stabiliscono battibecchi degni di una commedia romantica.