40 Sono I Nuovi 20, la recensione

Troppo convenzionale senza sapere come trarne vantaggio 40 Sono I Nuovi 20 riesce solo a raccontare della famiglia Meyers-Shyre

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sarebbero pochissimi sentimenti da provare di fronte a 40 Sono I Nuovi 20 (titolo originale: Home Again) se quella che vede Reese Witherspoon come una mamma single così separata dal marito da stare dai lati opposti degli Stati Uniti ma così bisognosa di affetti da accogliere in casa tre ventenni aspiranti filmmaker con cui sviluppare rapporti diversi (amore, filiazione, aiuto reciproco), non fosse una storia molto legata alla vita vera della regista e sceneggiatrice Hallie Meyers-Shyer, figlia di Nancy Meyers e Charles Shyer.
I due tra gli anni ‘90 e 2000 hanno scritto una serie di commedie di ottimo incasso prima di separarsi, da Il Padre Della Sposa a Genitori in Trappola. Successivamente Nancy Meyers ha avuto ancora più successo con L’Amore Non Va In Vacanza, Tutto Può Succedere e Lo Stagista Inaspettato.

In 40 Sono I Nuovi 20 Reese Witherspoon è figlia di un grandissimo commediografo, un mito di Hollywood, ma fa tutto un altro lavoro con scarsa soddisfazione, arrancando tra i suoi doveri di madre di due bambine. Per fortuna i tre filmmaker dai grandi sogni arriveranno nella sua vita tramite la strana storia d’attrazione con uno di questi. Il film fa tutto per negarlo, anche perché assume senza compromessi il punto di vista femminile, ma è evidente che la storia di ragazzi giovani e madri bellissime è una storia di Milf, cioè una storia che vuole raccontare la maniera diversa in cui oggi sono visti i rapporti tra persone di età differenti. È anche però una curiosa maniera di mettere in scena il rapporto dei genitori della regista-sceneggiatrice.

Identificata a tratti con la protagonista, a tratti con le bambine (il marito di Reese Witherspoon, interpretato come sempre benissimo da Micheal Sheen è truccato per essere uguale a Charles Shyer), Hallie Meyers-Shyer sembra mettere in scena più che la sua vita o quella della madre i contrasti a cui ha assistito. Ma è tutto troppo confuso e amatoriale. Nancy Meyers è una scrittrice abilissima, capace di lavorare sull’equilibrio della commedia sentimentale come poche altre, anche con i soggetti meno clamorosi. La figlia invece dimostra di aver assorbito più che altro la lezione di serie come Grey’s Anatomy, in cui il sentimento è raccontato, spiegato, messo in parole e dichiarato a chiara voce, in una serie lunga di attestati di stima e affetto. Certo, la svolgimento e l’andamento del film ricordano quelli della madre (che qui produce) ma le similitudini si fermano qui.

Attaccata alle regole auree della commedia e per nulla intenzionata a romperle, Hallie Meyers-Shyer inserisce anche un obiettivo per i tre uomini (riuscire a fare un film) ma non riesce a mantenerli focalizzati su questo, facendoli passare ben presto da personaggi dotati di una loro autonomia a essere semplici veicoli per la protagonista, incarnazione delle tre anime di un uomo perfetto (il sesso, l’affetto, la collaborazione nella vita di tutti i giorni). Fatine buone che arrivano nella sua casa e la sistemano, la soddisfano e fanno da padri per delle bambine così bisognose di figure di riferimento, i tre sono il più blando veicolo per la definizione della personalità della protagonista.
Non fosse una storia con così tanti sottotesti metafilmici probabilmente non avrebbe nessun senso.

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