21 Jump Street, la recensione
Due protagonisti che si divertono quanto gli spettatori per la commedia dei registi di Piovono Polpette; Phil Lord e Chris Miller fanno centro anche con l'esordio nel cinema live action...
Se esistesse un qualche genere di formula magica per adattare al grande schermo serie televisive più o meno recenti e amate dal pubblico, gli studi hollywoodiani attingerebbero a piene mani dai palinsesti tv più di quanto già non facciano. Grossomodo, a prescindere dall'esito artistico e commerciale del prodotto finale, il lungometraggio tipo tratto da un telefilm va ad attualizzare quegli elementi precipui della fonte, quelle qualità che ne hanno decretato il successo in un contesto “aggiornato ai tempi”.
La tipica frase che vuol dire tutto e il contrario di tutto.
Come si pone 21 Jump Street in tal senso? In un modo decisamente tutto suo.
Se, ad esempio, Michael Mann con Miami Vice aveva scelto di porre lo spettatore in medias res, buttandolo all'interno di una metropoli notturna e illuminata dalle fredde luci dei neon in cui Sonny Crockett e Ricardo Tubbs combattono un mondo criminale contro cui è impossibile avere la meglio, la commedia di Phil Lord e Chris Miller s'inserisce nello stesso continuum narrativo/cronologico della serie tv di Patrick Hasburgh e Stephen J. Cannell che, fra il 1987 e il 1991, ha lanciato la carriera di Johnny Depp. Si ammicca ai tempi passati, senza rimpiangerli.
Lo sfigatissimo e nerd Morton Schmidt (Jonah Hill) e il fisicatissimo sportivo Greg Jenko (Channing Tatum) sono due ex compagni di liceo che, a scuola, non si sono mai neanche salutati. Anni dopo il diploma si ritrovano prima a diventare amici sui banchi e i campi sportivi dell'Accademia di Polizia, dove l'uno aiuterà l'altro nel rispettivo ambito di eccellenza, poi colleghi fra le fila dei tutori dell'ordine. Dopo un primo, fallimentare arresto ai danni di alcuni presunti spacciatori i due vengono spediti agli ordini del Capitano Dickson (Ice Cube) il burbero responsabile del “revival” di una nota operazione di agenti di polizia sotto copertura iniziata negli anni '80 nota, appunto, col nome di Jump Street.
Gli agenti coinvolti e scelti per via del loro aspetto giovanile vengono mandati a indagare all'interno di un liceo americano dove si sta rapidamente diffondendo un nuovo tipo di droga incredibilmente letale, la Holy Shit, capace di portare al campo santo i suoi giovani fruitori in pochissimo tempo.
Michael Bacall, lo sceneggiatore del film, uno che di roba pop se ne intende visto che insieme a Edgar Wright ha dato vita a quel cult noto come Scott Pilgrim Vs The World, pone le basi iniziali della pellicola sul concetto di “pesce fuor d'acqua” d'individui del tutto fuori contesto. Se questa espressione vi rimanda alla memoria le magagne della recente opera di Tim Burton, Dark Shadows, in cui lo scherzo viene tirato troppo per le lunghe tanto da apparire una forzatura, 21 Jump Street fa leva su una nozione vecchia come il mondo stesso, ovvero “i tempi cambiano” applicandola ai frenetici mutamenti della nostra società. Se nell'incipit della pellicola, ambientato nel 2005, Channing Tatum è il figo fisicato, mentre Jonah Hill è il nerd sfigato che va in giro come un Eminem dei poveri, nel 2012, nel momento in cui i due si ritrovano a sedere sui banchi di scuola, si ritrovano in una situazione in cui chi legge i fumetti di Spider-Man o Batman o indossa degli occhiali hipster è “cool e up-to-date”; andare in giro con la classica macchina sportiva da quarter back che consuma un litro di benzina per fare una manciata di chilometri è da sfigati. L'ambiente è importante e i giovani sanno che bisogna mantenere uno stile di vita ecosostenibile!
Il ribaltamento dei ruoli si rende necessario.
Scontato? Forse si; ma quella che sulla carta pareva essere la più sballata delle coppie cinematografiche è, invece, uno degli svariati punti di forza di un buddy movie coi fiocchi. Che Jonah Hill sapesse il fatto suo era evidente fin dall'assurda comparsata nei panni dell' “acquirente eBay” in 40 Anni Vergine di Judd Apatow. Il comedian losangeliano d'altronde è una delle stelle più talentuose fuoriuscite dalla supernova del “team Apatow”. Il vero collante del film è la chemistry che si crea con uno straordinario Channing Tatum che, grazie allo sfruttamento del suo phisique du role da tamarro tutto muscoli, cinema action e Step Up, sciorina delle doti comiche inattese. Pare davvero divertirsi un mondo a ritrovarsi nei panni del nerd che si ritrova a trascorrere le serate con i secchioni della classe di chimica. Insieme danno vita a un'esperienza di cinema comico con venature action che si mantiene costante per tutta la durata della pellicola toccando alcune vette di assoluta ilarità.
Oltre alla loro bravura e a una sceneggiatura che innesca un meccanismo fatto di tempi comici millimetrici, i due sono supportati anche dall'adeguata conoscenza dei ritmi della risata posseduta dalla coppia di registi. Phil Lord e Chris Miller sono i fautori di quel tripudio d'umorismo noto come Piovono Polpette e fortunatamente per loro, il passaggio dal cinema d'animazione a quello in live action non si è tradotto in un fallimento (immeritato) come quello di Andrew Stanton e il suo John Carter, ma in un trionfo, inatteso quanto volete, ma comunque tale, sulla linea di quello avuto da Brad Bird col suo Mission: Impossible – Protocollo Fantasma. Anche qua, come nell'ultima avventura dell'agente Ethan Hunt, i richiami al nonsense tipico di certi cartoni animati sono palesi; a voi il piacere di scoprire il come e il dove. Il background dei due si vede anche nelle scelte cromatiche che vanno a privilegiare l'accentuazione del celeste e del blu delle divise della polizia.
L'approccio ludico di 21 Jump Street si riflette anche nella scelta di un cast generalmente azzeccato. Dopo i due protagonisti, malgrado le poche scene, è il capitano Dickson di Ice Cube (si proprio quello che 24 anni fa cantava Fuck Tha Police con gli N.W.A.) a conquistare la ribalta per come il gioco consapevole con lo stereotipo del capo di polizia nero e incazzoso viene messo in scena.
Nella squadra, ma forse nell'intero lungometraggio, l'anello debole è Rob Riggle; un po' per motivi di spazio e un po' per un certo appiattimento del caratterista sul medesimo ruolo riproposto all'infinito, il suo è l'aspetto più negativo di una commedia che, nel caso non si fosse capito, ci ha sorpreso in maniera più che favorevole. Il rischio di cadere vittima dell'effetto nostalgia era dietro l'angolo, ma piuttosto che basare tutta l'esperienza cinematografica su di esso si è scelta la via dell'occhiolino strizzato ai fan, del "non ci siamo dimenticati di voi, ma diamine, sono passati più di vent'anni eh".
Capitolo Johnny Depp. Che l'attore lanciato dalla serie televisiva in questione abbia un cammeo è universalmente noto e non vi riveleremo nulla a riguardo. Ci limitiamo a dire che dopo un decennio di recitazione in stile Jack Sparrow e dopo il recente exploit nei panni di un redivivo Carmelo Bene (copyright Francesco Alò) in Dark Shadows, Depp è tornato a fare quello che sembrava aver dimenticato di saper fare: l'attore. La sua apparizione è delirante, spassosa, assurda e, probabilmente, la migliore regalataci negli ultimi anni, Sweeney Todd escluso.