2073, la recensione: il fanta-documentario non è una buona idea

La recensione di 2073, il nuovo film di Asif Kapadia presentato all'81a Mostra del Cinema di Venezia

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Una cosa va riconosciuta a 2073. Che lo si prenda come fantascienza o come documentario, la sua natura cinematografica eccede e sconfina nell'altro ambito. È quindi un film interessante per come illumina la parentela fra questi due mondi: il cinema che vuole raccontare il reale e quello che partendo dalla realtà si avventura poeticamente a ipotizzarne gli sviluppi. Purtroppo aiuta anche a capire quello che tra i due non dovrebbe esserci in comune, almeno per quel tipo di documentario che vuole essere davvero informativo. C'è un livello di semplificazione che concediamo volentieri alla fantascienza - dai regimi totalitari di Orwell (che non sono cose vere ma sintesi artistiche plausibili) alle storie più o meno fantasiose sull'intelligenza artificiale che si ribella. Con la scusa che "viviamo già in un film sci-fi", invece, 2073 fa qualcosa di molto disonesto: importare quel tipo di licenza poetica in un racconto della realtà di oggi.

Inizia come un film distopico alla Terminator o Hardware, con tanto di costumi e gergo futuristico. C'è una protagonista muta di cui ascoltiamo il monologo interiore: nel futuro prossimo, dice, si è verificato "l'Evento" (non si capisce se nucleare, alluvionale, pandemico o tutto insieme) che ha portato l'umanità al collasso. I superstiti vivono di rifiuti e i pochi dissidenti sono vittime dei rastrellamenti che "Loro" (ma loro chi?) organizzano a Neo-San Francisco. Al momento di raccontare le origini di tutto questo, però, il film passa in modalità documentario, per spiegarci che gli orrori di domani sono il frutto delle follie di oggi: nuovi autoritarismi (con i volti di Trump, Modi, Orban e Giorgia Meloni); imprenditori in procinto di profilarci tutti e sguinzagliare le A.I. (Bezos, Musk, Zuckerberg); e cambiamento climatico, con tanto di piano dei potenti della Terra di andarsi a rifugiare in colonie spaziali.

Chiaramente è legittimo vedere con preoccupazione questo tipo di fenomeni. Così come usare quella preoccupazione come carburante per racconti di fantasia in grado di tematizzarla. In un film di fantascienza (non obbligato a essere accurato) forse non farebbero problema l'atteggiamento complottista, il riferimento populista a un nemico non meglio precisato, la tendenza a mischiare problemi diversi, l'uso spesso arbitrario di immagini fuori contesto (chi ci dice che la morte di quegli animali abbia a che fare col cambiamento climatico?). Il problema nasce quando tutto questo fa parte di un racconto che vuole legittimarsi come veritiero, ricorrendo ai dati e alle voci di giornaliste perseguitate dai regimi. La doppia natura del film (un "documentario con cornice fantascientifica") crea una contraddizione che gli impedisce di farsi prendere sul serio, anche da uno spettatore che magari concorda con diverse delle affermazioni fatte. È il film sbagliato per i motivi giusti. 

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