200 metri, la recensione
200 metri è un film che si presta ad essere pensato a lungo, con la stessa calma con cui procede.
La recensione di 200 metri, al cinema dal 25 agosto
Mustafa (Ali Suliman) e sua moglie Salwa (Lana Zreik) sono divisi da, appunto, 200 metri. Lui vive da solo mentre lei sta in un’altro paese, sempre in Cisgiordania, e la famiglia è separata fisicamente dalla barriera Israeliana. Mustafa è deciso a non voler prendere la residenza in Israele (per lui è una questione di principio) ma si vede annullato il permesso d’entrata e perde la possibilità di lavorare. Qui entra in gioco la dinamica di trama più interessante: perché sebbene a questo punto il conflitto sembri già innestato (scegliere tra il lavoro/famiglia o i propri principi?) ecco che un’altra svolta aggiunge ulteriori problemi, innalzando il conflitto a un’ulteriore livello di complessità che ha a che fare con il senso generale di appartenenza a un luogo e i pregiudizi.
Per il resto, tuttavia, 200 metri è un film che si presta ad essere pensato a lungo, con la stessa calma con cui procede. Ameen Nayfeh si prende tutto il tempo che gli serve per arrivare dove vuole (e dove ben sa), con la consapevolezza che questa sua apertura è, alla fine, la sua forza più grande.
Siete d’accordo con la nostra recensione di 200 metri? Scrivetelo nei commenti!
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