200 metri, la recensione

200 metri è un film che si presta ad essere pensato a lungo, con la stessa calma con cui procede.

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La recensione di 200 metri, al cinema dal 25 agosto

Film d’esordio del regista palestinese Ameen Nayfeh, 200 metri parte da un’esperienza estremamente personale (quella del regista stesso) per raccontare tramite una scottante tematica quale quella dei territori palestinesi occupati da Isreale. Attraverso un frammento di vita familiare e una storia piccola ma che chiama riflessioni complesse (la cui soluzione è tutt’altro che all’orizzonte) 200 metri ci pone con delicatezza e uno stile asciutto davanti - oltre che a problemi di grande portata politica - alla dignità perduta di un padre, di un uomo che vorrebbe vivere in pace ma che di fronte a un’emergenza rimette in discussione tutto.

Mustafa (Ali Suliman) e sua moglie Salwa (Lana Zreik) sono divisi da, appunto, 200 metri. Lui vive da solo mentre lei sta in un’altro paese, sempre in Cisgiordania, e la famiglia è separata fisicamente dalla barriera Israeliana. Mustafa è deciso a non voler prendere la residenza in Israele (per lui è una questione di principio) ma si vede annullato il permesso d’entrata e perde la possibilità di lavorare. Qui entra in gioco la dinamica di trama più interessante: perché sebbene a questo punto il conflitto sembri già innestato (scegliere tra il lavoro/famiglia o i propri principi?) ecco che un’altra svolta aggiunge ulteriori problemi, innalzando il conflitto a un’ulteriore livello di complessità che ha a che fare con il senso generale di appartenenza a un luogo e i pregiudizi.

Ameen Nayfeh ha la capacità di raccontare tutto questo senza essere mai davvero esplicito, semplicemente mettendo in scena un piccolo mondo che però ha tutte le caratteristiche per essere letto in grande. Il film procede lentamente, non ricerca nessun sensazionalismo, e il protagonista Ali Suliman segue questa stessa linea, dando un’interpretazione trattenuta che quasi sembra respingere lo spettatore e la sua richiesta di empatia. In questo senso 200 metri vede in qualche modo vacillare il suo tono pur solido, e lo fa proprio nei momenti in cui vorrebbe essere più emozionante o dinamico (con le scene in cui c’è tutta la posta in gioco della storia) ma in cui al contrario rimane così distaccato da risultare quasi frustrante.

Per il resto, tuttavia, 200 metri è un film che si presta ad essere pensato a lungo, con la stessa calma con cui procede. Ameen Nayfeh si prende tutto il tempo che gli serve per arrivare dove vuole (e dove ben sa), con la consapevolezza che questa sua apertura è, alla fine, la sua forza più grande.

Siete d’accordo con la nostra recensione di 200 metri? Scrivetelo nei commenti!

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