1994, la recensione del finale della serie

Arrivata al finale 1994 prima chiude male il triangolo sentimentale poi regala un'ultima puntata di grande audacia

Critico e giornalista cinematografico


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1994 - LA RECENSIONE DEL FINALE

È con una palette di colori molto saturi che mette in risalto il rosso dei capelli di Veronica Castello che 1994 ci introduce al primo dei due episodi che chiudono la serie. Siamo a Dicembre, il governo Berlusconi sta per cadere mentre Leonardo Notte e Veronica Castello si sposano (forse) e Pietro Bosco salda i conti con chi ha ucciso suo padre.

Questa puntata si svolge in un mondo a sé, esterno dalla politica e dall’attualità del ‘94, centrato sul solo triangolo sentimentale. Qualcuno volta faccia (uno dei pochi momenti attaccati a ciò che avvenne sta all’inizio sono le dimissioni di Di Pietro), qualcuno si scuserà alla fine. In mezzo la puntata chiude i conti con la storia d’amore che ha sorretto la seconda e la terza stagione, quella che vede Veronica divisa tra un amore burrascoso e uno che forse nemmeno è tale ma è il più conveniente per lei.

È questo l’episodio più deludente della stagione, risolve molto in fretta e senza grande fantasia, chiude con un espediente che potrebbe tranquillamente stare in un film italiano che vorrebbe essere di genere e invece non riesce per nulla ad esserlo.
E dire che invece il triangolo sentimentale stava acquistando sempre più senso per come era in grado di parlare della maniera in cui Veronica Castello attraversa quegli anni, adattandosi al modo in cui lentamente cambiava la figura di riferimento della donna di successo. Partita come donna di spettacolo con Lorella Cuccarini come faro, si adatta al cambiare dei tempi e capisce che il corpo non va più esibito ma usato in politica e diventa una delle punte di Forza Italia. Pietro Bosco rappresenta quel primo mondo, Leonardo Notte il secondo. Entrambi la desiderano, ma per ragioni diverse.

Che tutto questo si risolva con una specie di fuga improvvisata, un po’ sciocca in una notte di pioggia in cui sono isolati dal mondo e dovrebbero sposarsi, è veramente la trovata meno coinvolgente possibile. La tendenza a comprendere profondamente i tre coinvolti senza negarne lo statuto di eroi negativi, pronti ad ogni bassezza, qui viene meno e (amaramente) emergono i sentimenti più positivi, una specie di piccola bontà di fondo che alberga in ogni cuore. Una chiusa a tarallucci e vino per una linea di trama che invece si era dimostrata senza pietà.
Alla fine addirittura, in un trionfo di narrativa classica, Pietro Bosco salirà sulla nave dei dannati in fuga da sé e dai peccati commessi (ma sia ben chiaro: commessi per una buona ragione e comunque perché anche l’altro gli voleva sparare, lui mica l’avrebbe fatto eh!).

A risanare il bilancio prima della fine ci penserà allora l’ultimo episodio. Ambientata a sorpresa 17 anni dopo, nel 2011, durante il giorno più lungo di Berlusconi (il 13 Novembre), la sesta puntata toglie ogni dubbio e conferma che il racconto di 1994 è stato quello di come sia cambiato il paese nel periodo in cui Silvio Berlusconi è stato al potere. Chiudendo con il giorno in cui si è dimesso dall’incarico di presidente del Consiglio, di fatto uscendo dalla scena principale in maniera indefinita, sceglie di chiudere con il tramonto di quel personaggio che è stato una spalla e il faro degli altri.

Stranamente gli attori sono stati invecchiati pochissimo (invece perfetto il lavoro fatto su Berlusconi, incartapecorito, così gonfio come un otre di risentimento che nel confronto finale sembra il Pinguino di Batman) il che infastidisce un po’, ma la maniera in cui vengono attualizzati funziona. Ognuno ha seguito la parabola della categoria umana che rappresentava, ognuno è finito nelle aule, nelle feste, nei jet o fuori da tutto come i suoi simili del 1994 (solo la giornalista che aveva dato al Corriere della Sera lo scoop degli scoop è finita inviata a SkyTG24, difficile definirlo un salto di carriera ma forse nell’ottica di Sky lo è).

L’espediente potrebbe sembrare un trucco invece chiude perfettamente l’arco dei personaggi, li porta esattamente dove dovrebbero stare, ne conferma la bassezza, ne rilancia l’amoralità. Come se l’episodio precedente non ci fosse stato. Leonardo Notte e Veronica Castello si trovano di nuovo a ballare intorno a Berlusconi per il proprio interesse a sfruttarne carisma e personalità, a trovare un modo per salvarsi da lui dopo aver lavorato con lui o avergli chiesto un favore. Ovviamente non era possibile non macerare anche un po’ nella politica che sarebbe venuta e la puntata con un espediente tira in ballo le novità della comunicazione (e della bassezza) politica della Casaleggio Associati. Nel farlo è evidente come anche solo affrontando di striscio fatti ancora attuali mostri un fiatone che non ha quando tratta eventi accaduti nel medesimo anno ma ormai chiusi, come la parabola berlusconiana.

È Claudio Noce allora il vero vincitore di questo episodio. Più e meglio che altrove riesce a trovare tutte le immagini giuste, lavora benissimo con uno score che alla fine sembra quasi indispensabile all’atmosfera di decadente fine di tutto, e centra anche alcune delle immagini più importanti. L’episodio 6 cambia tutti gli ambienti e non ne sbaglia uno. Non è un episodio facile perché deve presentare i nuovi personaggi e chiuderli al tempo stesso, ma ha la ragionevolezza di correre spedito e puntare non tanto sui dialoghi (servono giusto a spiegare alcune dinamiche) quanto sulle immagini. Il nuovo taglio di capelli e l’abito di Veronica, il sorriso malandrino con sigaretta elettronica di Leonardo Notte (che torna a vestire il suo completo all black da ciambellano di Berlusconi) e per l’appunto il gonfissimo Silvio, pieno di trucco, protesi e capelli finti, un pupazzo tenuto in piedi dalla forza di volontà, lo spaventapasseri dell’era al tramonto, lo spauracchio della cui fine tutti esultano in piazza. “Gli stessi che tiravano le monetine a Craxi e che poi hanno votato Forza Italia” dice Scaglia. Gli stessi che voteranno il Movimento 5 Stelle.

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