1994, la recensione degli episodi 3 e 4
Non smette di stupire 1994, migliorando di puntata in puntata, prima con l'apoteosi di Pietro Bosco e poi con un incredibile controcampo sui personaggi
1994 - LA RECENSIONE DEGLI EPISODI 3 E 4
Da ex soldato e rugbista a parlamentare. Da parvenu dei palazzi ed elefante in una cristalleria, proprio come il suo partito anche Pietro Bosco nei 3 anni tra il 1992 e il 1994 è cambiato, si è adattato ed è diventato un politico. La terza puntata, di nuovo fuori formato, è interamente dedicata a lui, un piccolo tributo a questo personaggio che si porta sulle spalle il dovere di rappresentare un’intera classe, i leghisti di inizio anni ‘90, antipolitici antelitteram che non avevano niente a che vedere con gli antipolitici di Forza Italia (i pubblicitari in doppiopetto, imprenditorotti e donne in carriera), erano invece ben più popolani, uomini di canottiera e scarpe grosse, ex fascisti neanche troppo ripuliti, gente spiccia nei modi e più furbastra che furba.
Brama Veronica Castello, la desidera ardentemente sapendo di non poterla mai avere, né con lei né senza di lei, la brama sessualmente e sentimentalmente e grazie al cielo la serie (e Guido Caprino) da sempre ci mostra queste due tensioni con la medesima intensità. Perché come lei anche lui è tutto corpo, a differenza di lei non aspira continuamente ad un domani migliore, ad emanciparsi da se stesso. Bosco cerca solo di sopravvivere.
Quando arriva al culmine la sua storia di corruzione, l’ultimo tassello che lo rende davvero un politico, anche il suo mentore democristiano non ha più nulla da insegnare. Una morte segna il passaggio ad un altro grado, una somma è il suo peccato originale. Il grande intreccio che coinvolge suo padre arriva alla punta, esponendo quelle contraddizioni che erano prima solo implicate e lo fa (grande idea) in una diretta televisiva, la tribuna della nuova politica.
Tuttavia forse è nelle interazioni con Berlusconi di questa puntata che Pietro Bosco raggiunge il suo vertice. Come tutti i rissosi è quando ha di fronte un avversario che si esalta. La sua maniera gretta e spiccia di condurre gli affari emerge come non mai di fronte a quella ammaliante, seduttiva e piazzista di Berlusconi. In questo caso il personaggio più ingombrante della serie serve solo da spalla per definire ancora meglio lui. Incredibilmente onesto nell’esaltazione quando solleva la Coppa Dei Campioni, sempre guardingo come fosse un bodyguard quando entra in una stanza, in un auto o stringe una mano.
Arrivati a questo punto, dopo una prima puntata su Leonardo Notte, una seconda dedicata a Veronica Castello e una terza su Pietro Bosco, era facile aspettarsi l’apoteosi di Di Pietro o Berlusconi, invece no. La quarta continua la via degli episodi monotematici sui personaggi di finzione di questa serie piena di personaggi reali e spiazza approfondendo una seconda linea, Dario Scaglia, parte inventata del pool Mani Pulite, fino ad ora utile solo come gancio per Giulia Castello e la sua ascesa al Corriere della Sera. Poco più che uno zerbino da friendzone, eterno sfigato promosso a compagno per sfinimento e bisogno d’affetto, lui ci serve per vedere tutti i personaggi da fuori.
In uno degli episodi più sorprendenti di questa terza stagione (che mai avremmo detto così coinvolgente), scopriamo la backstory di questo (ormai ex) comprimario. Ha una famiglia nella magistratura, è legato alla tradizione della giustizia e l’arruolamento nel pool di Di Pietro è forse il suo primo atto di ribellione all’establishment, che per lui prima di tutto è la famiglia. Troppo onesto per essere plausibile, in questa puntata Scaglia diventa di colpo una figura completa. La sua eccessiva onestà acquista profondità, una motivazione, una storia. Non è onesto e basta, è onesto perché è un modo per ribellarsi, è onesto per affermare la propria individualità. È onesto per uccidere il padre. Che bello che, in un certo senso, accada letteralmente.
Ma il fascino e il segreto di questa puntata è che tramite il suo sguardo tutti i personaggi che conosciamo ci appaiono diversi. Per la prima volta e solo per questa puntata abbiamo un momento Marvels (nel senso del fumetto di Kurt Busiek e Alex Ross) in cui vediamo gli eroi senza la patina di gloria che gli dà l’essere protagonisti, li vediamo da fuori, per come appaiono a chi gli è vicino. Cioè Dario Scaglia.
In una cena al ristorante la coppia Notte/Castello emerge come viscida, vacua, arrivista, fasulla, seduttrice, commerciante d’anime. Del resto poi vedremo il protagonista della serie (Stefano Accorsi) sempre diligentemente sullo sfondo, che entra ed esce dalle porte, sfugge, dice e non dice, trama ed è una piovra con tentacoli che arrivano ovunque. Invisibile e presente al tempo stesso.
Ma attraverso questo eroe delle retrovie vediamo soprattutto Antonio Di Pietro, trasfigurato completamente fin dall’inizio della serie in un personaggio cool e duro (forse la più assurda delle assurdità implausibili di tutto il progetto: che Antonio Di Pietro possa apparire fico). Eroe da cinema e letteratura di genere, indefesso investigatore, è ormai in guerra diretta con Berlusconi, un conflitto in cui Scaglia è un soldato pieno di dubbi capaci di raccontare il contesto in cui avveniva quello scontro.
Burbero, scostante, tenace, duro con sigaro, sempre con qualcosa che gli passa per la testa, sveglio e rapido, un passo avanti a tutti, l’Antonio Di Pietro del grande Antonio Gerardi è il mentore, il faro, è l’eroe quasi chandleriano, destinato a nessuna redenzione e a lottare senza fine contro una corruzione sempre più grande. E se non si fanno paragoni con la realtà è bellissimo. Esaltato dal non vedere la fine di un’impresa che lo definisce.
Con lo stile dei thriller politici americani, con le zoommate e le riprese aeree, gli incontri sui tetti e la città di sfondo, la quarta puntata cambia anche genere (un’altra volta) sperimenta una messa in scena diversa (ancora!).
Certo Dario Scaglia un po’ repentinamente è diventato un duro (ma fossero questi i problemi!), tuttavia il tamburo battente dei mondiali di calcio che suona sempre più forte lungo la puntata dimostra che siamo alle prese proprio con il suo calvario, quello che lo porta alla salvazione, quando, da paradossale ribelle qual è, potrà finalmente festeggiare il suo apice nel momento più basso per la nazionale, durante la sconfitta che ha segnato una generazione sportiva.
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