1992: la recensione

La recensione di 1992, la nuova serie di Wildside trasmessa da Sky che racconta la fine della prima Repubblica

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Parafrasando il famoso monologo di Stefano Accorsi in Radiofreccia: "credo che una serie come Romanzo Criminale non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa". E sarebbe bello – lo sarebbe davvero – poter dire che quella serie è stata 1992, ma così non è.

Schegge di una prima Repubblica che muore nella bellissima opening dell'ultimo progetto originale di Wildside, in collaborazione con Sky e La7, presentato al Festival di Berlino, giunto a noi accompagnato da una serie di giudizi molto positivi. E tuttavia sono schegge che non feriscono e, al termine di un viaggio stagionale articolato in dieci episodi, si sciolgono nei rivoli delle molte storie a incroci che affluiscono al mare agitato della Storia italiana. 1992 si colloca in una posizione scomoda, anche per chi sulla serie è chiamato ad esprimere un parere, che lo eleva sicuramente al di sopra del vuoto della tradizionale fiction italiana, ma che al tempo stesso non gli permette di raggiungere le vette delle due serie, cult immediati, dirette da Stefano Sollima.

Dall'arresto di Mario Chiesa all'avviso di garanzia nei confronti di Bettino Craxi, si racconta un pezzo importante di storia del nostro Paese, la crisi dei partiti tradizionali come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista travolti dall'inchiesta Mani Pulite, l'ascesa della Lega, le vicende del gruppo Publitalia e quelle legate all'ormai prossima discesa in campo di Silvio Berlusconi. Seguendo una classica impostazione da period drama, quale 1992 è, le storie più grandi vengono quindi filtrate dalle esperienze dei singoli e sconosciuti volti che attorno a queste si agitano, a volte sfiorandole, a volte venendo travolte da queste, a volte addirittura riuscendo a restiuire il colpo influenzandole.

Ecco quindi il pubblicitario Leonardo Notte (Stefano Accorsi) che si occupa delle strategie di marketing a Mediaset, l'aspirante showgirl Veronica Castello (Miriam Leone), il reduce dalla guerra del Golfo ed eletto nelle fila della Lega Pietro Bosco (Guido Caprino), l'ufficiale di polizia e collaboratore di Antonio Di Pietro Luca Pastore (Domenico Diele), il suo collega Rocco Venturi (Alessandro Roja) e Beatrice Mainaghi (Tea Falco), figlia di un imprenditore coinvolto direttamente nello scandalo Tangentopoli. Le loro vite non seguono percorsi paralleli, ma incroci costanti, tra coincidenze, ricatti, vendette, aspirazioni e voglia di riscatto. Nessuno di loro è un personaggio realmente positivo, sono il degno specchio del degrado culturale, politico e sociale attraversato da un Paese al quale assomigliano tremendamente.

1992

"Etiam periere ruineae" (Anche le rovine sono andate distrutte)

La citazione è tratta dal penultimo episodio della stagione, quando in un momento drammatico Viola (Irene Casagrande, che avevamo già visto al fianco di Sergio Castellitto in In Treatment, e che continua a confermarsi), la figlia di Leonardo, lo contatta per chiedergli il significato della locuzione latina. La traduzione non ci verrà fornita, ma è difficile pensare che non ci sia un significato nascosto in queste parole: 1992 è una storia di rovine e macerie, di schemi ormai vecchi travolti da un'inchiesta, ma soprattutto da un nuovo sistema di persone, di comunicazione, perfino di valori. Crisi, scandali, guerra, indignazione: che sia voluto o che sia semplicemente inevitabile nel raccontare questa parentesi, i corsi e i ricorsi storici sono dietro l'angolo, e la sensazione di trovarsi di fronte ad un futuro non così distante è ben percepita.

E su tutto questo un'intuizione, che magari non sarà stata gestita al meglio, ma che rimane intelligente e puntuale, probabilmente la cosa migliore vista nella serie. Il crollo dei partiti ideologici, che per certi versi segue quello più concreto del Muro di Berlino di tre anni prima (ma qui l'argomento diventa troppo vasto), si accompagna all'emergere di una nuova sensibilità. Cambiano slogan e messaggi, destinatari e mittenti, prodotti e finalità. Saltano limiti e barriere ed entra un linguaggio preso di peso dalla pubblicità. La politica come prodotto da vendere ad una platea di acquirenti, e non è un caso che a suggerire tutto questo sia un pubblicitario come Leo Notte. "L'elettorato non è moderato, è smodato, arrapato", grida a Marcello Dell'Utri (Fabrizio Contri), e su questo tasto torna ancora e ancora a battere.

A qualunque livello e senza connotazioni politiche, funziona quest'idea di politica come intrattenimento, questo passaggio storico in cui la notizia della morte di Salvo Lima viene accompagnata dalle note di Casa Vianello e in cui Leo Notte fornisce al suo cliente un'interpretazione laterale di "Non è la Rai". E funziona l'idea di mettere al centro di un racconto politico un personaggio che politico non è, ma che finirà per ispirare quegli schemi leggendo in anticipo le pieghe della Storia. Manca la conferma, ma possiamo essere abbastanza sicuri che Leonardo Notte, per ruolo, carattere, professione, sia un personaggio ispirato a Don Draper di Mad Men.

In tutto questo i difetti della serie non sono pochi. L'idea di storia corale va bene, ma sarebbe stato meglio a questo punto raccontare tre-quattro storie parallele, invece di insistere sugli incontri occasionali tra i personaggi: le coincidenze sono troppe e in più di un caso sfidano qualunque credibilità. Intanto accade molto, forse troppo e mai nulla di veramente incisivo. I cambiamenti sono troppo repentini, le tappe vengono bruciate, i rapporti saltano, si ricompongono e saltano ancora: ne soffre l'interesse per le singole storie, ne soffre la costruzione dei personaggi che praticamente non riposano mai, passano da un evento all'altro, maturano e regrediscono in continuazione senza permetterci di apprezzare e capire cosa gli passi per la testa.

1992 banner

Il miglior arco narrativo, sorprendentemente, è quello del leghista Pietro Bosco (il siciliano Guido Caprino è anche il miglior interprete). Sicuramente un personaggio quasi grottesco e fuori dagli schemi, ma – in senso molto generale – possiamo davvero dirci estranei a questa visione folcloristica della politica? Per il resto il livello delle interpretazioni sarà raramente sufficiente e la scrittura, di situazioni e dialoghi, lascerà spesso a desiderare (le serie di Sollima arginavano quasi del tutto il problema ricorrendo al dialetto, che qui è assente) anche per i motivi sopra esposti. Molti spunti, anche narrativi, rimangono abbozzati e incompiuti: c'è un'idea di costruzione della storia che non vuole essere episodica, ma che al tempo stesso non riesce a sostenere il peso di un intreccio a lungo termine (in fondo nemmeno così lungo, appena dieci episodi) accumulando situazioni e ingarbugliate coincidenze.

Tanto per fare qualche esempio più concreto, il rapporto tra Leonardo e Viola è uno degli elementi più interessanti della prima parte di stagione, ma si risolve in niente, la parabola sempre uguale a se stessa di Veronica probabilmente andava raccontata, ma rimane praticamente al punto di partenza, il rapporto tra Pietro e il suo collega di partito Gianni Bortolotti cambia troppe volte equilibrio, e anche qui alla fine sembra non sia successo nulla di importante. Il ruolo concreto di Pastore e Venturi nella serie lascia abbastanza indifferenti, e dispiace per il poco approfondimento della vicenda relativa all'utilizzo dell'uranio impoverito nella guerra del Golfo. Idem per l'arco narrativo di Beatrice, personaggio che sembra racchiudere più personalità, ma che non è sorretto da un'interpretazione adeguata.

Tanto andava, giustamente, detto sulla qualità e soprattutto sui difetti della serie. Quanto dar peso a questi difetti in conclusione spetta al gusto di ognuno. Fino a qualche anno fa l'esterofilia non era una scelta, ma quasi un obbligo, e un prodotto come 1992 l'avremmo accolto a braccia aperte rispetto alle alternative in onda. Romanzo Criminale e Gomorra, tutt'altro che perfetti e spesso caduti negli stessi difetti rilevati in questa serie, hanno mostrato che è possibile raggiungere un livello ancora superiore, ma personalmente sono convinto che in questi casi sia meglio lasciar pesare di più gli aspetti positivi. Sperando di continuare a migliorarci e poter dire la nostra in un mercato televisivo sempre più vasto, magari uscendo dai confini del racconto "troppo italiano" (come l'avrebbe definito un'altra bellissima serie). D'altra parte se gli svedesi raccontano di robot e i francesi di morti che ritornano, forse c'è spazio per sperimentare anche nel Bel Paese.

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