1917, la recensione
Benedetto ma anche affidato alla sua trovata tecnica, 1917 sa su cosa puntare e sa trovare il modo di soddisfare lo spettatore
1917, DI SAM MENDES: LA RECENSIONE
Il grande pregio di 1917 è anche il suo limite. La trovata che gli fa da volano, cioè il fatto che sia stato realizzato per sembrare un unico piano sequenza (in realtà sono diverse scene in piano sequenza unite da giunti digitali a volte tanto anche goffi), è il senso stesso del film. Sam Mendes parte da uno spunto da B-movie, è cioè un film dai presupposti stringenti e focalizzato sull’azione (a due soldati viene dato un ordine importantissimo da consegnare che salverà le vite di un plotone nel quale c’è anche il fratello di uno dei due, per consegnarlo devono attraversare la guerra, il fronte e le badlands della Francia occupata) che gonfia con una realizzazione da serie A. È un film con Mark Strong, Colin Firth e Benedict Cumberbatch in piccoli cammeo, che ricostruisce scenari grandiosi e ha un respiro estremamente sofisticato, non sempre finalizzato solo all’azione. Tuttavia è l’idea di viverlo in un respiro solo, di far coincidere il tempo del racconto con quello della fruizione del film (o quasi, un’eccezione c’è), che gli fornisce il suo vero perché. È il fatto che Mendes nel raccontare questo aneddoto di guerra del nonno cerchi in realtà di portare lo spettatore sul fronte per due ore, due ore di una giornata qualsiasi in guerra. Levata quest’idea il film si sgonfia ed è qualcosa che, a quasi parità di tecnica, non si poteva dire ad esempio di un altro film molto focalizzato sulla sua realizzazione come Gravity.
Nella seconda parte invece le promesse d’azione sono un po’ più mantenute ma sempre tenendo presente che non è la missione ciò che davvero importa ma il mondo che i soldati attraversano per portarla a termine. Più che altro, nella seconda parte Mendes comincia a guardare a quella sospensione quasi magica del cinema spielberghiano, quando il realismo più duro si fonde con la sorpresa e il romanticismo del cinema classico per raccontare una persona decisamente normale in una situazione straordinaria. L’azione ha un carattere spesso buffo (l’aereo che comincia a puntare i protagonisti, il tedesco ubriaco che non vede cosa accade) e la colonna sonora ha quel rapporto epico e semplice con le immagini che ha nel cinema di Spielberg.
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