La Notte Del Giudizio: Election Year, la recensione

Violento e truce ma soprattutto pronto a prendere una posizione anche non facile, La Notte Del Giudizio: Election Year alza l'asticella della polemica

Critico e giornalista cinematografico


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Non è un mistero che l'America abbia un rapporto di grande prossimità con la violenza, anche di massa, e ancora non abbiamo visto film che seriamente prendano di petto la questione. Per questo La Notte Del Giudizio, di sequel in sequel, sembra sempre più necessario. Cioè sembra necessaria la presenza di un film che metta in scena un'ipotetica classe dirigente che avalla una notte in cui tutti i crimini sono concessi, un momento pensato per dare libero sfogo a tutta la violenza più efferata, di fatto rendendola legittima. Siamo di fronte forse alla maniera migliore che il cinema ha per riflettere su cosa sia la proliferazione libera delle armi in quel paese. In questo terzo film di La Notte del Giudizio poi il passaggio ideologico è ancora più diretto.

Dopo una casa in cui si muovono le vittime della notte dello sfogo, dopo una città in cui scappano possibili vittime della notte dello sfogo, ora è un paese intero che prende posizione nella notte dello sfogo, un paese che deve votare e si trova a scegliere tra un candidato che appoggia e uno che vuole annullare la tradizionale nottata (a cui adesso partecipano anche gli stranieri giunti in America per fare turismo omicida). Il passaggio dunque è sia ideologico che simbolico, perchè ancora più che in passato esiste in questo film un'equazione forte tra i simboli tradizionali dell'America (la statua della libertà, George Washington...) e la violenza che viene perpetrata. Ancora di più chi uccide e si esalta nell’efferatezza è proprio agghindato con maschere e costumi che rappresentano l’iconografia statunitense. Ancora di più perchè esce nell'anno delle elezioni presidenziali!

Insomma, non è esagerato dire che non c'è serie di film che oggi riesca a raccontare le radici della violenza statunitense meglio di La Notte del Giudizio. La Blumhouse, tradizionalmente dedita al cinema disimpegnato, ha creato un'America di finzione che sia un'onesta rappresentazione di molti aspetti chiave di quella vera, che parli dei legami profondi che esistono tra il culto della violenza e il culto religioso, tra l'assolutismo di certe prese di posizione politiche e le reazioni scatenate nella popolazione. Come in Bioshock: Infinite poi ha legato tutto questo ai dei “nuovi padri fondatori”, inserendo nell’equazione anche la mitologia fondatrice della nazione e la sua mendacità. Che è più di quel abbiamo visto fare a registi politici come Oliver Stone.
Che tutto questo poi avvenga in un thriller d’azione come La Notte del Giudizio: Election Year, uno che fa della violenza la sua essenza, che mette alla prova la soddisfazione dello spettatore proponendo altra violenza come soluzione alla prima violenza è ancora più interessante.

James DeMonaco, con il suo stile essenziale e la sua passione per il buio illuminato dal neon, non esita a caricare i suoi villain di un'acida repulsione e di una viscida meschinità che spingono lo spettatore a desiderarne la morte, a desiderare che subiscano lo stesso destino che quelli auspicano per i più deboli e quando la loro morte arriva il film non si volta indietro di fronte all'evidente senso di soddisfazione scatenato. Ogni sguardo è colpevole nel momento in cui desidera la violenza come risposta e ogni spettatore è lasciato solo con il suo senso di colpevole soddisfazione di fronte alle risoluzioni più truci.
La Notte del Giudizio prende posizione sulla violenza più facilmente condannabile, quella contro i più deboli, ma ha anche un'incredibile equilibrio e una distanza non facile di fronte a quella perpetrata dai "buoni", quella che i protagonisti intendono "a fin di bene", che poi è ciò che pensa ogni persona che abusa di armi e sceglie di togliere la vita a qualcuno.

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