Torino 33 - Tangerine, la recensione
Elettrico, potente, minimalista, scarno eppure sofisticato al massimo, Tangerine è uno dei migliori film dell'anno, uno dei più potenti e arroganti
Puro cinema elettrico ad alto voltaggio, materia bassissima (storia di tradimenti tra un travestito appena uscito di prigione e il suo pappone, storia di tassisti che vanno a trans all’insaputa della moglie che si risolve nel finale con tutti i personaggi nella stessa stanza come una farsa teatrale, come la più bassa e banale delle commediole degli equivoci), trattata con il taglio del cinema arrogante che vuole raccontare posti, luoghi, personaggi fuori dalle convenzioni senza piegarsi a nessuno canone se non il proprio. Dietro il paravento del realismo (luci naturali o pseudotali, luoghi veri, scene rubate e stile grezzo) si nasconde una sofisticazione altissima, già dalla prima scena, dal campo controcampo delle due protagoniste ripreso contro la vetrata del locale in cui siedono, dietro di loro passa gente, si vede un incrocio ed è come se Tangerine sfondasse i consueti background per animare e la scena di un rumore di fondo visivo che non mollerà mai.
Tangerine si basa su una sinossi che potrebbe aver scritto Pedro AlmodovarTangerine si basa su una sinossi che potrebbe aver scritto Pedro Almodovar, tanto è melo con ironia, tanto si diverte con quello che ama a partire dai corpi mutati e deformati dalle aspirazioni, tanto riempie le sue scene con fiumi di parole alla massima velocità, caratteri che inondano di insulti, botte e dinamismo l’intreccio più vecchio e risaputo del mondo (uno che non stonerebbe in una puntata di Casa Vianello!) fino a renderlo materia viva, che racconta un altro mondo senza nessuna pietà a partire dalla carne, già solo la trama è scatenata dal fatto che il trans Sin-Dee scopre che il suo ragazzo Chester l'ha tradita e cosa peggiore (che non riesce a mandare giù) con una donna effettiva! Corpi di donne che erano uomini, corpi di uomini che sì tatuano addosso i sentimenti, corpi di donne talmente magre e sfatte da parlare da soli di un mondo di tristezza e droga. Non c’è un fisico in tutto il film che somigli a quelli canonici cui il cinema si rifà sempre.
Sebbene elettrizzati dallo stile di Baker e dall'energia che mette nel raccontare la sua storia, così che lo sguardo non sia mai alto ma crei sempre un'armonia con gli argomenti e la loro estrema viatlità, non si può fare finta di non vedere che dietro Tangerine ci sia moltissima voglia di parlare di una marginalità estrema, di personaggi in lotta per pochi spicci, privi di ogni soddisfazione e spesso nemmeno vicini gli uni agli altri. Eppure ancora una volta l’approccio scelto è così vicino da non essere mai davvero serio, rifiutando il dramma rifiuta il paternalismo. Con un inevitabile sorriso che gli viene dall’onestà di sapere bene che ciò che guarda, quella realtà derelitta e povera, è inevitabilmente al limite del ridicolo (le protagoniste instaurano dinamiche da 15enni contemporaneamente esilaranti e preoccupanti), Tangerine parla e mostra qualcosa talmente gretto e duro che sarebbe inaccettabile forse con altri toni e altri stili meno pop ma che usa gli strumenti del cinema migliore (stile, uso dei fisici, movimento interno ed esterno alla scena, montaggio creativo) per affermare la loro vitalità.