Non c'è niente di male nei remake.
L'esercito delle dodici scimmie era un remake. O meglio, il bellissimo film di
Terry Gilliam era pesantemente ispirato a
La Jetée, cortometraggio sperimentale degli anni '60 diretto da Chris Marker, una vera pietra miliare nella storia della fantascienza. Vent'anni dopo, ecco arrivare con un carico di aspettative doppiamente importante il nuovo adattamento trasmesso da
Syfy, che prende le misure soprattutto a partire dal film del 1995 per raccontare l'ennesima variazione della storia. Qualche caduta nella vicenda, ma considerate le ultime, infelici uscite del network,
12 Monkeys passa la prova del debutto.
La trama di base è la stessa. Dal futuro, precisamente dal 2043, un uomo di nome James Cole (Aaron Stanford) viene inviato indietro nel tempo dalla scienziata Jones (Barbara Sukowa) per scongiurare la catastrofica diffusione del virus che ha messo in ginocchio la razza umana. Sulla sua strada verso il passato incontra la dottoressa Cassandra Railly (Amanda Schull) che, superata la fase del comprensibile scetticismo, si convincerà ad aiutarlo nella disperata missione. Tutti gli indizi puntano contro un certo Leland Frost. Chi è questa figura, e cosa ha a che fare con il cosiddetto "Esercito delle dodici scimmie"?
Il pilot diretto da
Jeffrey Reiner, che lo scorso anno ha curato ben cinque episodi del pluripremiato
The Affair, segue una struttura lineare, per quanto può esserlo quella di una storia che parla di viaggi nel tempo.
Splinter è un episodio introduttivo, che riesce ad equilibrare bene le esigenze della narrazione – e quindi presentazione dell'ambientazione, dei personaggi, delle motivazioni – con un buon ritmo narrativo. Non ci sono punti morti, l'esposizione è chiara senza essere banale, il soggetto, nel suo essere ampiamente collaudato, è inevitabilmente accattivante e ci sono un paio di svolte inattese nella storia di questa lotta alla minaccia globale.
La scrittura di Terry Matalas, anche creatore della serie, cerca un rifugio sicuro nei momenti cardine della storia d'origine, ma al tempo stesso ha bene a mente il medium al quale si rivolge. Prova quindi a consolidare il tutto con rimandi – soprattutto nella relazione tra i protagonisti – ad alcune coppie che abbiamo visto, anche recentemente (Sleepy Hollow, Constantine) in tv, con un "lui" più istintivo che conosce la materia sovrannaturale/fantascientifica di cui si parla e una "lei" più fredda e razionale, che serve come punto d'appoggio per potersi muovere in un mondo sconosciuto. I risultati non proprio esaltanti di questi punti di riferimento forse suggeriscono che non si tratta al momento di una formula vincente.
Inutile fare paragoni con gli esperimenti visivi di Marker (che viene anche omaggiato dal cognome di uno dei personaggi) o tantomeno Gilliam. In quelle due opere d'autore c'era un lavoro sulle ambientazioni - angoscianti, disperate, claustrofobiche - che qui semplicemente manca e lascia il posto ad una visione più modesta e senza particolari slanci creativi. Un'altra differenza poi sembra essere l'idea alla base dei viaggi temporali.
12 Monkeys gioca molto sui paradossi, sulla effettiva e confermata possibilità di cambiare il futuro, un po' alla
Ritorno al futuro per capirci, e quindi diversa dal
"whatever happened, happened" di
Lost. C'è una bella idea collegata a questo verso il finale, quando vengono illustrate le conseguenze del paradosso, ma è anche vero che questa libertà autoconcessa potrebbe presto sfuggire di mano e creare più confusione che altro.
Le sbavature e i punti deboli non mancano, e ci vorrà davvero una mano forte per impedire alla nuova serie di Syfy di uscire dai binari, ma per il momento la prova è sufficiente.