Ogni dettaglio dedicato a
Lee Oswald messo in scena da
11.22.63 è destinato a creare un corto circuito tra realtà e supposizione, tra certezza e possibilità, tra Storia e immaginario. La foto in cortile, il modello del fucile, gli indirizzi, e ora il deposito di libri da cui, nella nostra versione della realtà, sparerà a JFK. Il titolo dell’episodio, “Happy Birthday, Lee Harvey Oswald”, e le prime sequenze (prima e dopo i titoli di testa) sono dedicate proprio a Lee: lo vediamo mentre viene assunto al Dallas Texas Books Depository, e poi da Marina, che intanto si è allontanata da casa evidentemente stanca degli scoppi di violenza del marito. Nel mezzo, ha anche il tempo di essere fermato da un agente dell’FBI che lo tiene d’cchio da tempo, e che ci informa sdelle sue scorribande – realmente avvenute ma rimaste qui fuoricampo – a New Orleans e a Città del Messico.
Non è un caso se la puntata dedicata a Lee vede la svolta più rilevante dell’episodio nella ribellione di Bill al fratello/leader Jake: era già evidente da qualche puntata che Jake stava sottovalutando gli effetti di un’esistenza di privazioni e di dedizione a una causa sul giovane. Ora Jake scopre che ci sono molte cose che Bill non gli ha detto, e soprattutto che non ha nessuna intenzione di sottostare più alle sue direttive. Al di là della relazione con Marina, che non può portare a niente di buono, è interessante che dietro il comportamento di Bill si intraveda una visione della missione alternativa a quella di Jake, forse distorta, ma in fondo non così assurda: e se il modo migliore per fermare il futuro fosse intervenire attivamente invece che stare a guardare?
La scena della festa di compleanno di Lee è attraversata dalla tensione, che culmina con la scoperta della cimice nella lampada da parte dell’irascibile festeggiato; se l’autorità di Jake su
Bill è ormai svanita, risulta piuttosto credibile l’amicizia tra Bill e Lee, entrambi giovani, entrambi inquieti, affascinati dal rischio. Jake non è stato in grado di prevedere la possibilità di una tale deviazione da quello che per lui è un percorso obbligato, né riesce a ricondurre Bill a più miti consigli. Non si rende conto che lui stesso ha deviato e si è permesso di innamorarsi e di iniziare a pensare a un futuro a due: ancora è sottolineata la poca lungimiranza di Jake, che ricorda in modo efficace che si tratta in fondo di una persona ordinaria gettata in uno schema del tutto stra-ordinario, più grande di lui, per gestire il quale Jake continua ad andare a tentativi, senza una vera preparazione strategica. Tanto che ricorre a una soluzione di rara vigliaccheria per risolvere il problema Bill, e c’è da scommettere che in qualche modo ne pagherà le conseguenze.
L’episodio riesce meglio nelle scene relazionali che non in quelle d’azione: soffre un po’ di meccanicità la scena in cui Jake finalmente affronta (o meglio minaccia) George de Mohrenschildt, sperando di ottenere le informazioni che gli servono per chiarire definitivamente i ruoli e la catena di comando all’interno del quadro: purtroppo per Jake le cose sono più complicate di quanto potevano sembrare, a dimostrazione che individuare il bianco e il nero, i colpevoli e gli innocenti non è mai facile, nemmeno quando credi di sapere già come andrà a finire. Mohrenschildt apparentemente non pensa minimamente a un attentato verso JFK, e tendiamo a credergli, poiché vuota il sacco mentre la sua vita è in pericolo.
E non è la sola: le apparizioni del misterioso uomo col biglietto giallo nel cappello si fanno più frequenti, ed è ormai evidente che a lui è legato l’emergere di ostacoli sempre più pericolosi anche per le persone vicine a Jake. Solo l’intervento fatalista di Jake salva Sadie dall’incidente sotto i ferri del chirurgo plastico e la condanna a restare con una fin troppo discreta cicatrice, che non intacca minimamente il suo volto perfetto. Commovente il momento di Jake con
Miss Mimi, un altro bel personaggio che non avrebbe certo stancato anche con più screentime.
Nel complesso poteva forse rimanere leggermente più ambigua la natura delle azioni di Bill, immediatamente bollate come azzardi privi di consapevolezza, ma i tempi stringono e solo due sono gli episodi mancanti. Anche l’aggressione finale appare un po’ troppo di comodo, funzionale al cliffhanger che introduce all’ultimo quarto di questa appassionante e rocambolesca miniserie.