11.22.63 1x03, "Other Voices, Other Rooms": la recensione

La nostra recensione del terzo episodio di 11.22.63, con James Franco

Condividi
TV
Con la terza puntata, Other Voices, Other Rooms, 11.22.63 entra nel vivo dell’azione, ma anche nella nuova quotidianità di Jake. Due le svolte fondamentali della puntata, una che conduce dritta al cuore della vicenda, l’altra che aggiunge complessità alla necessità di costruirsi letteralmente un’altra vita in un’altra epoca. La prima è l’entrata in scena di Lee Harvey Oswald; la seconda è il nuovo incontro con Sadie Dunhill, che avevamo intravisto nella prima puntata, nella stessa scuola in cui Jake troverà lavoro.

Avevamo lasciato Bill con un’inequivocabile pagina di giornale in una mano e la pistola nell’altra. Jake è costretto a raccontargli la verità, e dopo una nottata di comprensibile trambusto e diffidenza, Bill acconsente ad accompagnarlo a Dallas e poi ad andarsene con un lauto compenso. Ma quando li vediamo camminare per Elm Street di fronte agli edifici sciaguratamente riconoscibili, mentre Jake illustra come in una visita guidata cosa sarebbe successo di lì a qualche anno, sappiamo già che Bill non tornerà in Kentucky. In fondo perché mai dovrebbe tornare alla periferia dimenticata dell’America e della Storia, a una vita senza alcuna prospettiva? Se è vero che Jake fa fin troppo in fretta ad accettare il suo aiuto, possiamo tutavia accettare la sua fiducia istantanea come la necessità di avere qualcuno con cui condividere il peso del suo segreto.

I due si trasferiscono allora a Jodie, paese a metà strada tra le due città dove Oswald abiterà, prima Fort Worth, poi Dallas. Si fingono fratelli, Jake colto e perbene, Bill più sempliciotto e scapestrato. A Jodie Jake trova lavoro come insegnante nel liceo locale, e mentre nello spazio di una camminata lungo il corridoio della scuola gli striscioni ci avvertono del passare del tempo, ci ritroviamo improvvisamente a due anni dopo, nel 1962, l’anno in cui Owsald si rifà vivo in America dopo aver disertato e soggiornato in Russia per alcuni anni. L’ellissi è un po’ repentina, soprattutto perché, se non è difficile credere che Jake si sia perfettamente adattato al suo nuovo ruolo, non ci è dato sapere come abbia vissuto Bill o che lavoro sia riuscito a trovare.

Ma il ’62 porta sul cammino di Jake anche la bionda Sadie, assunta come bibliotecaria nella stessa scuola, e fresca di divorzio: inevitabile l’attrazione tra i due, anche solo per esclusione in base all’età e allo stato civile delle persone che li circondano.

La puntata appare forse la più equilibrata delle tre finora andate in onda

Intanto Oswald sta per trasferirsi a Fort Worth: per questo Bill e Jake affittano l’appartamento di fronte a quello dove sanno abiterà, e vi installano delle cimici, collegate a un ricevitore e registratore posto in casa loro. Il piano seguito è quello già predisposto da Al: sorvegliare Oswald, scoprire se fu lui il responsabile del tentato attentato al generale Walker del 1963, e indagare il ruolo del misterioso professor Mohrenschildt in tutto ciò. È piuttosto divertente vedere come Jake sia costretti ad usare strumentazioni d’epoca e dunque a ricorrere a “terzi” per ottenerle e montarle, previe giustificazioni inventate di Jake (chissà se ricorrerà sempre alla presunta infedeltà di una moglie inesistente). Il passato, però, oppone come sempre resistenza, sia con imprevisti realistici (il problema linguistico quando parlano in russo, il furto dei macchinari), sia, ancora, con strani interventi allucinatori (i ragni).

La presentazione di Oswald è efficace nel suo mostrare da subito un personaggio complesso e sfuggente, ma anche minaccioso, una sorta di mina vagante nelle mani di Mohrenschild. Quando assistiamo alla sua reazione dopo i deliri ultraconservatori di Walker al comizio (“you know what a fascist is?”) siamo addirittura portati, se non ad approvare, a comprendere la sua rabbia.

La puntata appare forse la più equilibrata delle tre finora andate in onda, perché offre uno sguardo più approfondito sulle dinamiche sociali che controbilancia il plot spionistico: il razzismo radicato non solo nelle relazioni quotidiane (il benzinaio), ma in modo meno palese anche a scuola, dove la regia sceglie di indugiare a lungo sul silenzio generato dalla semplice offerta di caffè di Jake alla segretaria di colore, Miss Mimi; oppure la riluttanza di Sadie a parlare del suo divorzio, che come fa notare, per una donna è ancora inaccettabile. Lo stridere di azioni che per Jake sono del tutto normali (il già citato caffè, il dialogo su Il giovane Holden, la condivisione dello status di divorziato) evidenziano un contesto rigido e opprimente: sono i segnali del lato più oscuro di un tessuto sociale in cui anche le idee retrograde di Walker sono accolte da folle in delirio, e dove all’avanzare di idee più progressiste corrisponde sempre un piano di emergenza per la loro soppressione.

Continua a leggere su BadTaste