11-11 Memories Retold recupera la dimensione umana, ma fa poco di più - Recensione
Una produzione coraggiosa, ma fuori focus: la recensione di 11-11 Memories Retold
11-11 Memories Retold racconta la Prima Guerra Mondiale da due diverse prospettive, quella di un fotografo canadese e quella di un ingegnere tedesco, che per varie vicissitudini finiscono sul fronte. Il giovane fotografo, convinto come tutti i suoi coetanei e concittadini di star partendo per una grande ed eroica avventura, si imbarca per diventare il reporter di grandi gesta militari; l'ingegnere, oramai vaccinato contro la retorica della propaganda grazie all'esperienza garantita dall'età, si arruola per poter andare in cerca del figlio, scomparso in azione. Impersoneremo l'uno e l'altro in brevi e concise sessioni di gioco (di eccessiva velocità), una volta alla ricerca di informazioni nella trincea tedesca, un'altra al seguito degli ufficiali da fotografare, un'altra ancora in un assalto suicida contro le linee nemiche. Le interazioni e le azioni disponibili sono molto varie e adattate alle singole missioni, spaziando dalla ricerca delle maschere antigas fino al fotografare la vita quotidiana di un campo di prigionia, ma il dettaglio tecnico delle animazioni e dello stile grafico a volte è talmente povero o mal studiato da rendere non solo difficile empatizzare con protagonisti e comprimari, ma arriva anche ad affaticare l'occhio negli spazi più chiusi e cupi, dato che la direzione artistica, squisita sul breve termine, diventa davvero difficile da sopportare per tutta la durata dell'esperienza.
Sullo sfondo delle due storie, che si evolvono parallele ma si intersecano in vari punti del racconto, emerge con forza un affresco generale dell'epoca storica e dell'umanità coinvolta in quel terribile conflitto. Una volta tanto, come fatto forse solo da Valiant Hearts negli ultimi anni, la dimensione eroica, adrenalinica, testosteronica e individualista della rappresentazione di un conflitto bellico lascia il posto a una vicenda più corale, umana e sensibile, nella quale l'agire del singolo si manifesta come irrilevante nel grande insieme delle cose. Un senso di assoluta impotenza domina le riflessioni dei protagonisti, incapaci di dare un senso a migliaia di vite stroncate per la conquista di pochi metri di terra, soffocati dal tanfo dei loro stessi escrementi, in quelle fangose trincee che rappresentavano l'unico orizzonte osservabile per mesi, con il costante timore di essere sotto tiro da parte di qualche cecchino.
Purtroppo, tutto ciò viene messo in scena con una qualità altalenante, priva di particolari guizzi e scelte di design che riescano ad esaltarne i contenuti, ma anzi rendendoli troppo frammentati e patetici per suscitare una reazione abbastanza profonda ed emotivamente rilevante. Ciò è dovuto innanzitutto alla volontà di sfruttare uno stile estetico evocativo e pittorico, ma poco adatto alle esigenze interattive del giocatore. Risulta difficile persino comprendere alcune sequenze del gioco, non per la complessità dei suoi enigmi (semplicissimi e spesso quasi automatici) ma per la scarsa leggibilità delle situazioni. Se a ciò aggiungiamo evidenti forzature narrative, ritmi non proprio esaltanti e una banalità generale delle interazioni disponibili (molto varie, come detto prima, ma comunque poco interessanti per il giocatore), il quadro che emerge è quello di un'opera con delle idee forti e con una filosofia d'approccio molto originale, ma che purtroppo, al momento della costruzione effettiva dell'esperienza, ha inserito elementi fuori contesto e privi di particolare rilievo per la storia.
In ogni caso, anche solo per il suo essere così antitetico al grande blockbuster testosteronico a cadenza annuale, merita quantomeno l'attenzione dei più appassionati alle varie sfaccettature del mezzo videoludico. Si tenga però ben presente che, purtroppo, la forza delle sue idee non è stata supportata da una qualità altrettanto elevata.