Voces, la recensione

Troppo affezionato agli stilemi classici del genere, Voces non riesce a spiccare nonostante qualche idea interessante sul tema delle case infestate

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Voces, primo lungometraggio dello spagnolo Ángel Gómez Hernández (che sta per cominciare a lavorare sul secondo), ha il problema di tutti quei film (horror in particolare) che si giocano la mossa a sorpresa entro i primi quindici minuti. Si apre in un modo, sembra voler impostare il discorso in una direzione, poi alla prima occasione buona sfila il tappeto da sotto i piedi di chi guarda e lo lascia stordito e disorientato, per poi ripartire come se nulla fosse successo.

Non è un problema di per sé, anzi; ma diventa un problema parlarne a chi non l’ha visto senza rovinare la visione. Recensirlo diventa quindi un esercizio di equilibrismo e delicatezza, un tentativo di dare una lettura del film senza sminuirne l’impatto – un’impresa futile nel momento in cui anche solo accennare all’esistenza di un plot twist senza svelarlo lo rovina almeno in parte.

Fortunatamente Voces è, per altri versi, talmente classico, o tradizionale, o banale, che discuterne senza entrare troppo nel dettaglio non è complicato.

Voces è la storia di una famiglia (padre, madre, figlio) nella quale gli adulti fanno il mestiere peggiore che si possa immaginare in un contesto horror: comprano vecchie case a pochi soldi, le ristrutturano e le rivendono a un prezzo gonfiato, traslocando in cerca di un altro progetto. Una vita nomade che sta avendo effetti negativi sul figlio Eric, che soffre di insonnia, crisi d’ansia e che soprattutto, da quando i tre si sono stabiliti nell’ultima villa decrepita in ordine di tempo, sente le voci, tante strane voci che gli sussurrano cose irripetibili (tipo “sono tuo padre e ti odio”). Per cercare di risolvere la situazione, Daniel e Sara (i genitori di Eric, ovviamente) si rivolgono a una psicologa infantile, ma quando diventa chiaro che le Voces del titolo non sono solo nella testa di Eric, decidono di coinvolgere Germán, uno scrittore e ricercatore del paranormale esperto di psicofonia, o FVE – il classico tizio che si presenta armato di termoscanner e microfoni panoramici e comincia a girare la casa in cerca di prove.

La casa che, come da tradizione del genere, è un luogo immenso e desolato, in rovina, infestato di mosche (un dettaglio particolarmente importante nell’economia del film), tutta soffitti cavernosi e stanze in legno scuro, divisa tra lo squallore dell’abbandono e la dignità dei secoli di storia che molto chiaramente le gravano addosso. Hernández la popola coerentemente di voci, che escono da ogni angolo, da sotto il letto, dall’armadio, dal baby monitor installato vicino alla vasca da bagno, dal walkie talkie con il quale Eric e Daniel comunicano durante la giornata: Voces è un film che, non essendo riuscito ad arrivare in sala, si merita quantomeno una visione immersiva con un buon impianto o un buon paio di cuffie, perché il sound design è la ragione quasi esclusiva per cui, nonostante la sua banalità, il film funziona. Il resto lo fa il gusto di Hernández, che ha un ottimo istinto per muovere, anche rapidamente se serve, la macchina da presa negli spazi chiusi senza disorientare; meno bene il suo vizio di appoggiarsi fin troppo spesso al montaggio e ai sempiterni jump scare per suscitare un brivido, ma il ragazzo è giovane e si farà.

Come speriamo si farà anche lo sceneggiatore Santiago Díaz, che ha scritto un film il cui difetto principale è che fin troppo simile a mille altri film che parlano di voci inquietanti che escono dalle pareti di una casa infestata; non c’è nulla in Voces, almeno fino agli ultimi minuti, nei quali il film ha un’accelerata improvvisa, che non sia già stato fatto altrove, e non basta cambiare l’inglese con lo spagnolo per distinguersi da tutti gli Insidious e i Paranormal Activity degli ultimi anni.

Non c’è nulla che non vada in Voces, se non forse la tendenza dell’intero secondo atto a ripetersi fino a diventare ridondante. Il problema è che, una volta che si gratta la sicuramente piacevole superficie estetica e si arriva al cuore, ci si rende conto che il film non ha granché da dire, solo un paio di gradevoli salti sulla sedia da regalare.

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