Calibro 9, la recensione | TFF38
Il sequel di Milano Calibro 9 è un poliziesco nè d'epoca nè moderno che non si concentra sull'azione e sfocia ben presto nei difetti del cinema italiano
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Il tentativo di Calibro 9, sembra di capire, è un po’ di ricalcare alcuni stilemi (oltre alla struttura della trama) del film originale e un po’ di cercare di dare anche un colpo al poliziesco moderno, ma nel tentativo sembra perdersi a metà strada e cascare, come già faceva il precedente poliziesco di Toni D’Angelo, Falchi, nelle trappole più note del cinema italiano. La prima di queste è il casting. Marco Bocci come protagonista di un noir in continuità con quello guidato da Gastone Moschin è una scelta che si rivela infelice. Bocci non sembra mai avere la faccia dura, la vita vissuta e la capacità di affrontare la disperazione con rigore, né quella di sostituire tutte queste caratteristiche con quelle più morbide che la trama gli chiede.
In accordo con questa tendenza anche le sequenze di azione (principalmente inseguimenti a piedi o in macchina) sembrano interessare poco al film. Ce ne sono, ma non hanno personalità, sono più esecuzioni corrette di standard tecnici, scene portate a casa correttamente che non hanno però nessuna qualità, nessun rapporto con lo stile del film e nessuna dinamica. Anche la musica è sovrapposta, non pensata e montata in armonia.
Come anche infine la lunga coda, dai tempi più dilatati del resto del film, l’opposto dell’originale che invece finiva in modo molto secco e brutale (ma ci sarà la citazione della frase del cappello dal levare).
Insomma, non c’è una vera concentrazione sull’azione, a Calibro 9 interessano di più i confronti a parole tra attori e la sensibilità che i personaggi esprimono parlando.
Non a caso come già Falchi più la storia e la trama avanzano più il film sembra perdere connotati polizieschi, fino ad un finale in cui (letteralmente) si finisce a parlare in cucina di sentimenti e della propria vita familiare. Modalità espressive, scene e luoghi intimi più vicini al cinema d’autore italiano classico, che qui, nemmeno a dirlo, stonano moltissimo.
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