Sul più bello, la recensione | Roma 15

Puntando tutto sulla tenerezza e strusciando spesso il melenso Sul più bello trova nella protagonista la carta meno prevedibile e più centrata

Critico e giornalista cinematografico


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La via italiana al genere “amore e malattia terminale” passa per la tenerezza.

La storia di Sul più bello è di quelle da manuale: lei malata, marginale e animata da una sete insaziabile d’amore, lui bello, ricco e distante ma solo per coprire un vero bisogno di contatto umano, gli amici per divertire e “l’imprevedibile” storia d’amore sbilanciata che sembra impossibile a tutti ed è anche contrastata dallo spettro della morte.
A queste caratteristiche base Sul più bello aggiunge un look e uno stile fondati su una fortissima tenerezza. Tenerezza nei costumi, negli arredi, nella musica, nella recitazione, nella scrittura e nel casting. Una storia di 20enni che si atteggiano a pre-adolescenti.

Ovviamente il riferimento diretto più immediato per questa chiave espressiva è quello dell’estetica fondata da Jeunet con Il favoloso mondo di Amelie (ma senza la color correction ad enfatizzare il fatto di trovarsi in un altro mondo): personaggi caratterizzati a tinte estreme come fossero raccontati e descritti da un bambino, costumi fuori dai canoni e una protagonista disegnata per non avere nessun appeal sessuale, abbigliata a tratti come la bambina di Matilda 6 Mitica. Lo stesso rapporto sbilanciato tra i due poli sentimentali è dato dal fatto che lui (Giuseppe Maggio) è caratterizzato come un corpo prettamente sessuale e lei (Ludovica Francesconi) per niente.

Proprio queste caratteristiche portano molto spesso Sul più bello a strusciare sul confine con il melenso. E se la sceneggiatura è convenzionale come si conviene al genere, a deludere sono le singole scene e i singoli dialoghi (il protagonista maschile è palesemente introdotto a parole), come del resto non è un punto di forza del film la recitazione, molto enfatica per tutti gli attori, sempre sopra le righe. E anche la trama parallela che riguarda due amici gay che vogliono avere un figlio non trova mai un vero perché, suona come un complemento, un contorno superfluo che non ha un’economia nella trama principale e di certo non la forza di reggersi sulle proprie gambe.

Tuttavia, sfrondato di tutto quel che arranca, la parte cruciale di Sul più bello, ovvero il rapporto tra i due protagonisti, più avanza più trova una sua strana maniera di funzionare. Molto è marito del casting di Ludovica Francesconi, volto e corpo fuori da ogni canone (una protagonista simile in un film commerciale è quasi un atto di rivolta contro i corpi consueti) e teoricamente in aperto contrasto con quello molto più mainstream di Giuseppe Maggio ma poi stranamente complementare. Con la più atipica delle coppie nella più tipica delle storie anche i passaggi più consueti, nonostante una fattura poco esaltante, trovano un senso autonomo, quasi unico. Quasi.

Tanto che quando per un tratto del terzo atto del film scompare Ludovica Francesconi tutto sembra girare a vuoto, il ritmo crolla, entrano momenti ben poco centrati come quelli che riguardano la famiglia del protagonista e Sul più bello perde moltissimo abbrivio, quasi si ferma vagando nei paesaggi desolati in attesa di riportare sullo schermo l’unico motore capace di smuovere qualcosa.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Sul più bello? Scrivicelo nei commenti dopo aver visto il film!

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