SpongeBob: Amici in fuga, la recensione

SpongeBob: Amici in fuga sopravvive intatto al passaggio dall’animazione tradizionale alla CGI, grazie a un’abbondante dose di... be’, di SpongeBob

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In un mondo sempre più complicato e con di fronte un futuro sempre più incerto, SpongeBob: Amici in fuga (guarda il trailer italiano) è come un’àncora di salvezza, un faro di normalità, un salvagente a cui aggrapparsi per non farsi travolgere dalle onde del destino – il che non è male per un franchise incentrato sulle avventure di una spugna senziente e demente che vive in fondo al mare in una casa a forma di ananas.

Aspettavamo il terzo film di SpongeBob da cinque anni: i primi due capitoli sono andati bene al box office e sono generalmente piaciuti, perché è difficile che SpongeBob non piaccia – è colorato, surreale, stupidissimo, scatologico ma mai troppo volgare, e soprattutto, da quando ha cominciato a frequentare le sale cinematografiche, spesso sorprendente, una sorta di versione postmoderna di Chi ha incastrato Roger Rabbit?. E SpongeBob: Amici in fuga continua la tradizione: è, molto semplicemente, un altro film di SpongeBob, scritto e diretto da uno degli inventori della serie; è tutto come dovrebbe essere e come i film precedenti ci hanno abituato: presenta una situazione apparentemente banale e lineare e che ha a che fare con Plankton (la cosa più simile a un villain che ci sia in SpongeBob), che si fa via via più intricata e assurda e prende direzioni sempre più inaspettate – questa volta per esempio ci sono di mezzo i sogni, il vecchio West, una citazione di Thriller di Michael Jackson, Snoop Dogg, la mitologia greca e Keanu Reeves che vive in una tumbleweed.

Nella sua totale insensatezza, quel modo che ha SpongeBob di presentare una realtà dove non esistono vere regole e qualsiasi cosa è possibile purché strappi una risata, Amici in fuga è quasi prevedibile: conosciamo abbastanza bene SpongeBob ormai da saper leggere in anticipo metà delle gag, il che non significa che non facciano ridere, solo che il franchise è ormai diventato familiare e rassicurante più che sovversivo e psichedelico. Certo ci sono sempre i colori, le sequenze oniriche, le gag da slapstick comedy, le battute surreali; ma arrivati al terzo giro di giostra cominciano a diventare un’abitudine, per quanto ancora più che piacevole.

SpongeBob Amici in fuga Gary SpongeBob

Il vero rischio per Amici in fuga, quindi, era quello di snaturare SpongeBob in termini estetici, visto che parliamo del primo film della serie a essere animato interamente in CGI. È innegabile che il salto si senta e faccia un certo effetto soprattutto all’inizio, ma ci vuole poco per rendersi conto che è stato fatto un gran lavoro per trasportare in 3D l’espressività e la personalità della versione tradizionale di SpongeBob; si può non apprezzare il cambio di estetica (e una buona fetta del pubblico non lo apprezzerà), ma è innegabile che il salto sia stato fatto nel rispetto della fonte originale.

Aggiungere altro ed entrare nei dettagli dell’intreccio significherebbe rovinare la sorpresa in un film che di sorprese si nutre; vi basti sapere che Amici in fuga è un road trip in cerca di un amico perduto che evolve poi in una classica parabola sull’amicizia, l’accettazione (di sé e degli altri) e tutti quei buoni sentimenti di cui la serie si nutre da sempre, tra un cameo di Keanu Reeves e uno di Danny Trejo. Non è il film che cambierà la storia dell’animazione e forse neanche di SpongeBob, ma è anche vero che è un film fatto con un target preciso in testa (i trenta/quarantenni che con SpongeBob sono cresciuti e che saranno felici di cose come l’utilizzo di Livin’ la vida loca nella colonna sonora) e che non ha altre ambizioni se non essere “un altro film di SpongeBob”. Visto quello che succede là fuori ce lo teniamo stretto così.

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SpongeBob e Gary

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