Regina, la recensione | TFF38

Nella classica storia di colpa e pena Regina non riesce ad innestare vera partecipazione

Critico e giornalista cinematografico


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La trama di Regina è essenziale. Un padre e una figlia adolescente vivacchiano nel mondo della musica, lui è un ex musicista e lei canta e suona in piccoli locali. Forse c’è una svolta, forse può aprire un concerto, è un buon momento ma in una gita al lago c’è un incidente, fanno qualcosa di grave e lo nascondono per non turbare le acque. Mentre il padre è pronto a dimenticare e non rovinare l’occasione che sta arrivando il rimorso comincia a rodere da dentro Regina che sta sempre peggio.

È questo uno dei generi più specifici del cinema italiano, quello in cui la morale dei personaggi prova a scappare alle gabbie dell’etica cattolica e, non importa che siano o no religiosi (in questo film non ci sono indizi in questa direzione), ma esiste qualcosa di più forte e di superiore a loro che li fiacca. Come in Il cattivo tenente, per quanto i personaggi provino a scappare al proprio giudizio sulle loro stesse azioni non ci possono riuscire, e la colpa diventa un’ossessione che fa stare male, fa vomitare, tormenta la mente.

In questi film ottenere sia una catarsi dal male, cioè una possibile redenzione dalle proprie azioni o semplicemente venire a patti con esse, e poter anche svoltare nella propria vita non sembra possibile. Quello che raccontano è che la colpa va sempre espiata tramite una punizione e se questa non arriva dalle forze dell’ordine allora sarà la rinuncia a quel che di buono poteva accadere. La carriera ad un certo punto sembra non interessarle più, non è quasi oggetto delle conversazioni della ragazza è un pensiero schiacciato e marginalizzato dalla colpa, perché più questa è grande più è importante il tributo che esige. Lo vogliano o no i personaggi.

Il film d’esordio di Alessandro Grandi in questo senso è un classico, uno studio di un personaggio sensibile come lo può essere un’adolescente, alle prese con un tormento interiore che è in conflitto con le possibilità che le si sono aperte nella vita. La vediamo girare intorno al dolore, approfondire le conseguenze delle loro azioni e rimestare nel senso di colpa. Sappiamo quel che prova e capiamo perché, in questo il film è chiarissimo (e non è per niente scontato) ma quel dolore non è mai raccontato.
Quel che succede è che ci viene solo mostrato che esiste. Regina è un film che denota e non connota. Dettaglio che fa tutta la differenza, perché possiamo capire ma non partecipiamo a fondo, non stiamo realmente con lei. Un salto in più lo poteva consentire la recitazione ma mentre Francesco Montanari è come sempre impeccabile tuttavia dagli spalti (non è lui il centro del film), la protagonista Ginevra Francesconi non è il tipo di attrice che può fare la differenza.

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