Ocean's 8, la recensione

Succube del precedente, Ocean's Eight non è tanto un gender swap ma proprio una sorella minore

Critico e giornalista cinematografico


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La storia di Ocean’s Eleven, sia quella del film originale del 1960 diventato in italiano Colpo Grosso, che del remake con Clooney e soci del 2001 girato da Soderbergh, è una trama fatta di coolness. Il punto di tutto non è la grande e impossibile rapina, ma quanto sono desiderabili gli attori e i personaggi che interpretano, svegli, affascinanti, un po’ canaglie e molto ben vestiti. È uno showcase di affiatamento tra attori che sono amici (o almeno hanno buoni rapporti) e delle possibilità di recitare in gruppo. Questa premessa sembra il presupposto perfetto per un gender swap, cioè per rifare al femminile il film, puntando sui medesimi punti di forza. Ocean’s Eight punta però anche su tutti gli altri dettagli del film che rifà.

Gary Ross vuole ricalcare Soderbergh e per continuità ne ingloba alcuni stilemi come le transizioni con zoom a stringere e allargare, è molto rispettoso del film che tutti ricordano (quello del 2001) e ne replica diligentemente anche la trama con i necessari adattamenti. La sorella di Danny Ocean (Sandra Bullock) esce di galera e come lui va a trovare il socio (Cate Blanchett) avendo già un piano in mente, vuole rubare un collier di diamanti dal valore inestimabile facendolo indossare ad un’attrice durante il MET gala e poi prendendoglielo. Troveranno sei partner (tra cui una stilista molto nota e famosa, l’unica a poter indurre l’attrice a richiedere ed indossare il bottino, che si presta alla rapina) e saranno coadiuvate sempre da Elliot Gould. Non mancherà la trama sentimentale in cui però non c’è più una vecchia fiamma da riconquistare ma un uomo bastardo del passato da continuare a punire. Cambio in un certo senso adeguato ma che non sprizza proprio di femminismo.

Insomma Ocean’s Eight è una vera sorella minore, ed era lecito aspettarsi di più. Replicando in tutto e per tutto il film a cui si ispira, ricalcandone le differenze con il vero originale del ‘60 anche quanto a finalità, senso della coolness e modo di guardare i personaggi, di fatto questo film che è indubbiamente ben fatto, equilibrato e calibrato con correttezza tra il fascino della rapina, l’impossibile proporzione del tutto e la suspense dei mille piccoli intoppi cerca sempre la benedizione del precedente. Lo richiama e ne mostra i personaggi (nomi e foto degli altri soci di un Ocean compaiono spesso). Come già era accaduto per Ghostbusters, anche Ocean’s Eight non vuole liberarsi dello spettro del precedente ma omaggiarlo, finendo per risultare continuamente un suo sottoprodotto. Obiettivamente non è il massimo per un progetto che vuole ribaltare gli stereotipi maschili.

Anche passando sopra a un buco non da poco nella trama (relativo alla collana con l’impossibile sistema di sgancio e il fatto che a un certo punto chi la porta se la perda accidentalmente), Ocean’s Eight crea un clima armonioso tra le sue protagoniste e sembra più intenzionato a creare un bel ritratto delle associazioni tra donne, dei gruppi femminili e della capacità organizzativa, che a realizzare un buon film. Detto questo il team di attrici, con in capo Sandra Bullock, è davvero in grandissima forma e davvero affiatato, la parte migliore del film senza dubbio.

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