Mortal, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020

La mitologia norrena e la ricerca di identità di un giovane dotato di inspiegabili poteri sono alla base di Mortal, film dal buon potenziale non del tutto sfruttato, presentato al Trieste Science + Fiction 2020

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Nat Wolff è il protagonista del promettente Mortal, film diretto dal regista André Øvredal che, un po' come accaduto con Chronicle, riporta sugli schermi situazioni vicine a quelle dei cinecomic attingendo in questo caso alla mitologia norrena e cercando di mantenere i protagonisti e l'atmosfera non troppo distanti dalla realtà.

Il lungometraggio, presentato al Trieste Science + Fiction 2020, segue quello che accade al giovane Eric, in fuga ormai da anni dopo un misterioso incendio in cui hanno perso la vita gli abitanti di una fattoria. Il ragazzo americano si imbatte in Norvegia in un gruppo di giovani e uccide un adolescente in modo misterioso. Per cercare di capire cosa gli sta accadendo, la polizia chiede l'intervento della psicologa Christine (Iben Akerlie), dalla vita complicata, che lo ascolta e crede in lui quando sostiene di avere dei poteri che non riesce a controllare. La sua pericolosità porta al coinvolgimento di un gruppo di agenti, guidati da Hathaway, situazione che complica ulteriormente il tentativo di Eric di capire in che modo usare i propri poteri per il bene e capire realmente la propria natura.

Mortal non brilla per quanto riguarda gli effetti speciali, limitati prevalentemente all'energia che emette il ragazzo al centro degli eventi, preferendo invece concentrarsi sugli aspetti emotivi e psicologici della vicenda. La sceneggiatura sviluppa bene il legame che si stabilisce tra Christine ed Eric, nonostante il loro rapporto si evolva in modo inizialmente poco credibile e fin troppo rapidamente. Akerlie e Wolff riescono tuttavia a gestire bene le interazioni tra i due personaggi e nella seconda metà del film i sentimenti che li uniscono appaiono maggiormente credibili nonostante le basi così esili.
Il protagonista trova inoltre il modo di non rendere l'intensità di Eric eccessiva, mantenendo la giusta dose di fragilità emotiva e rabbia, permettendo di rendere la sua lotta per trovare un equilibrio e cercare delle spiegazioni per la propria situazione comprensibile e coinvolgente.

Øvredal, recentemente dietro la macchina da presa di Scary Stories to Tell in The Dark, costruisce bene l'atmosfera sfruttando le splendide location scelte in Norvegia per le riprese, faticando invece nella costruzione delle scene d'azione. La narrazione, purtroppo, procede lentamente e con una certa incertezza verso un finale che spreca degli spunti davvero interessanti, come la reazione della comunità ai poteri di Eric tra chi lo considera una divinità da venerare e chi un pericolo mortale, immergendosi totalmente nel mondo sovrannaturale.

Mortal, con una durata leggermente inferiore, sarebbe stato un pilot perfetto per una serie sci-fi dal grande potenziale, ma la sua natura cinematografica rende il risultato finale un po' insoddisfacente non avendo sfruttato pienamente il materiale a propria disposizione senza approfondire realmente gli aspetti sociali e gli elementi psicologici, rimanendo così sulla superficie di tutti i tasselli che compongono questo puzzle visivamente affascinante dedicato alla ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo.

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