L'incredibile storia dell'isola delle rose, la recensione
La storia che più ci siamo raccontati negli ultimi anni è in L'incredibile storia dell'isola delle rose, un grande ponte verso il cinema americano
Il quarto film di Sydney Sibilia (ma il secondo se si vuole considerare la trilogia di Smetto quando voglio come un corpo unico) è una storia italiana che abbiamo sentito molte volte, fino allo sfinimento, in un trionfo molto ideologico, molto politico e poco umano, poco viscerale, per nulla sentito. È quella del ‘68, raccontata stavolta con le tecniche del cinema americano. E, in questa forma, trova un senso nuovo, sentimentale e personale. Non la voglia di libertà di un popolo o una categoria ma la voglia di libertà contaminata di interessi, sentimento e voglia di realizzazione, di una persona sola in un momento cruciale.
LEGGI: L’incredibile storia dell’Isola delle Rose: la nostra visita al gigantesco set acquatico a Malta!
LEGGI: Smetto quando voglio: disponibile finalmente il cofanetto della trilogia!
Giorgio Rosa e la sua isola di ferro costruita da sé nelle acque internazionali, dichiarata stato indipendente e attaccata dalla Repubblica italiana perché inaccettabile sotto troppi punti di vista. Il dialogo migliore del film, quello con il cardinale, spiega la questione in maniera inappuntabile a partire da una foto sul giornale. Di nuovo dimostrando il tipo di sintesi visiva con la quale il cinema americano puntella i suoi scontri: facce, recitazione, frasi secche e un’ambientazione per l’interazione che è tutto. Anche per questo sembra che ci sia stata più concentrazione sul lavoro di recitazione di Bentivoglio (carichissimo) e Zingaretti, piuttosto che su Germano e De Angelis che guidano il film senza imporsi, servendo il film e dando tutto in pochissimi momenti.
Giorgio Rosa, un nerd come i ricercatori di Smetto quando voglio, ha infatti sì un desiderio di libertà ma finalizzato a poter sfogare la propria voglia di costruire e creare, non finalizzato ad un domani migliore. Tramite questa sineddoche personale che scarta subito la solita prospettiva alta a cui punta il cinema italiano, Sibilia (che il film l’ha scritto con Francesca Manieri) riesce paradossalmente ad arrivare molto più in alto. Soprattutto riesce ad arrivare a tutti, non parla mai ai convertiti.
Certo, il piccolo uomo che compie un’impresa gigante (“da film”) grazie alla conoscenza è il cinema di Sibilia in una frase, ma è in fondo anche una metafora dei suoi stessi tentativi di fare film mai visti nel cinema italiano pensando in grande. Costruendo davvero la piattaforma del film, mettendo in scena come non mai un periodo abusato.
Sei d'accordo con la nostra recensione di L'incredibile storia dell'isola delle rose? Scrivicelo nei commenti dopo aver visto il film, disponibile su Netflix dall'11 dicembre!