Il legame, la recensione
Ricalcato su molte immagini già di successo nell'horror, Il legame riesce però ad essere un buon film di paura italiano, credibile, concreto e onesto
Come Shining, come Funny Games e come molti film sul male anche Il legame parte con un arrivo, l’arrivo di una famiglia in un luogo. E quel luogo è l’unico, ad oggi, che in Italia possieda una qualche credibilità horror: il sud.
La sceneggiatura di Il legame (scritta dal regista Domenico De Feudis assieme a Daniele Cosci e Davide Orsini, due con sulle spalle i pochissimi horror italiani indipendenti degli ultimi anni) non vuole inventarsi molto ma cerca di centrare bene, con stile, classe e maestria quello che meno siamo capaci di fare, cioè l’horror moderno. Per arrivarci non esita a pescare immagini di comprovato successo. Ci sono fili estratti dalla bocca come i capelli di Samara in The Ring, ci sono le piante che crescono sotto il letto come segno di un rito viste in Il labirinto del fauno e anche il design delle creature possedute suona familiare. Una volta tanto però tutto questo non importa. Perché Il legame, fa strano anche solo scriverlo, è buon film dell’orrore italiano. E il fatto che sia su Netflix invece che in sala forse potrebbe essere una salvezza.
Perché Il legame, andando al sodo, riesce a fare il lavoro che sfugge al cinema italiano d’orrore dozzinale che vediamo di solito, riesce cioè a trasfigurare i personaggi fino a non farli più somigliare ad umani, avvicinandoli a qualcos'altro, cioè al disumano, attraverso l’immagine, con movimenti, colore della pelle, bulbi oculari e rumori che producono muovendosi. Quello è ciò che spaventa o almeno crea una forte tensione, ovviamente, e quando il film ci si avvicina con credibilità tutto gira per il verso giusto.
Certo anche quello trasfigurato è un immaginario derivato, fatto di vesti abbondanti bianche e capelli lunghi e sporchi (di nuovo The Ring), ma va bene. Anche perché è poi il character design della nonna e il rapporto silenzioso da uomini di campagna che ha con la sua servitrice a bilanciare le trovate con un po’ di originalità.
Un finale aperto suggerisce possibilità di sfruttamento ulteriore e una volta tanto è una buona notizia.
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