Hostile, la recensione
La nostra recensione di Hostile, film diretto da Mathieu Teuri presentato al Trieste + Science Fiction Festival
Riuscire a proporre un approccio davvero convincente ed emozionante all'ormai tradizionale storia dell'epidemia che colpisce l'umanità, lasciandosi alle spalle un mondo devastato e con i pochi sopravvissuti in lotta con creature di vario genere, è molto difficile, ma Mathieu Turi, al suo debutto alla regia, ci è riuscito.
In Hostile si segue, in un alternarsi di passato e presente, la storia di Juliette (Brittany Asworth), ancora in vita dopo l'evento apocalittico che ha colpito la società costringendo chi è ancora in vita a nascondersi per evitare di essere attaccati dalle creature che si muovono nel cuore della notte. La giovane, durante il ritorno verso il campo base, perde però il controllo della sua auto e si frattura gravemente una gamba, rimanendo bloccata e intrappolata in mezzo al deserto.
Turi, dopo un decennio di esperienza come assistente alla regia accanto a nomi del calibro di Quentin Tarantino e Clint Eastwood, compie il passaggio dai corti ai lungometraggi proponendosi come uno dei nomi da tenere maggiormente sotto osservazione nel panorama cinematografico francese. Fin dai primi minuti, infatti, con delle semplici scene di desolazione e una macchina che sfreccia nel deserto, il filmmaker riesce a far percepire la tensione sottostante e a delineare un mondo post-apocalittico credibile e realistico, fatto di città in rovina e sopravvissuti in lotta per trovare delle provviste e un modo per andare avanti. Dopo l'introduzione della protagonista mostrandone la freddezza e la determinazione, si rivela la struttura ideata per mostrare in parallelo passato e presente, che si intrecciano e si completano a vicenda aggiungendo progressivamente dei tasselli della storia, di cui l'importanza verrà rivelata solo alla fine.
Le due dimensioni temporali propongono altrettanti generi: da una parte una storia d'amore, non priva di molti ostacoli da superare anche a causa del passato complicato di Juliette, e dall'altra una lotta per la sopravvivenza in una cornice che lascia ben poco spazio alla speranza. In modo attento e naturale le due realtà si avvicinano progressivamente, conducendo a un finale emozionante e intenso che lascia il segno. La scelta del deserto appare così perfetta per enfatizzare metaforicamente il senso di solitudine che anima la protagonista e la obbliga a trovare dentro di sé la forza di lottare contro le avversità, in un crescendo di tensione emotiva e fisica, mentre si assiste al tentativo di mantenersi al sicuro dall'amore e dalle creature che si muovono nella notte.
Senza risparmiare allo spettatore la visione anche di scene molto forti, il regista trova il giusto equilibrio tra lo scenario post apocalittico e il racconto della storia d'amore tra Juliette e Jack, personaggio interpretato da Grégory Fitoussi. A livello interpretativo è però Brittany Asworth a dominare la situazione, riuscendo a passare dai momenti di debolezza all'incredibile determinazione necessaria a sopravvivere, e trovando la giusta chiave di lettura degli innumerevoli lati della personalità di Juliette, definita e sviluppata con attenzione fin dal duro confronto tra la vita della giovane e quella di Jack.