Breeder, la recensione | TFF38
Qualcuno sta per trovare il farmaco che fa ringiovanire e lo fa con una violenza impressionante. Breeder però prende in prestito e non inventa
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In Danimarca qualcuno ha trovato la formula per non invecchiare. Il costo dello sviluppo del farmaco è altissimo ed efferato. Lo scoprirà a sue spese un’atleta che seguirà la scomparsa di una ragazza alla pari fino alla fabbrica/prigione in cui giovani donne sono tenute in gabbia, marchiate e alle quali sono praticate brutalità e orrori quotidiani in nome della scienza medica del ringiovanimento.
Il dettaglio più sorprendente di Breeder è che pur con la trama che si ritrova non è un film femminista. Ovviamente non è di certo l’opposto ma non ha quell’idea come obiettivo, non primariamente almeno. È un film più classico sullo sfruttamento da parte delle élite della materia prima umana in cui a voler ringiovanire sono più che altro uomini ricchi e solo dopo donne ricche. E se le brutalità sulle donne sono compiute da uomini, questi sono dei subnormali, dei meri esecutori con nessuna personalità né intenzioni proprie, al vertice della catena in realtà c’è una donna.
È un peccato che a fronte di tutto ciò a Breeder manchi poi la capacità di inventare davvero, cioè di trovare modi propri di mettere in scena quella devastazione umana. Abbigliamento, luci, gabbie e tutto l’immaginario legato alla prigionia è derivativo e anche quello medico/sanitario (la gigantesca siringa vaginale) ha il sapore di Cronenberg. Solo una certa ossessione per le urine pare originale.
Riferimenti tutti più che giusti e lodevoli, che danno vita ad un film godibilissimo, ma viste le premesse e soprattutto le intenzioni era lecito aspettarsi di più.
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Allo sceneggiatore Sissel Dalsgaard Thomsen e al regista Jens Dahl (già sceneggiatore nel 1996 dell’esordio di Nicolas Winding Refn, Pusher) non interessano molto i temi politici, gli interessa molto di più creare l’ambiente di questa fabbrica abbandonata in cui avvengono esperimenti e spingere tantissimo sull’acceleratore della violenza minacciata e praticata. Breeder vuole essere scioccante in certi punti (ogni tanto ci riesce, in altri momenti è più l’ambizione che la riuscita), vuole divertirsi prima a torturare e poi, non stupirà nessuno, a consentire la vendetta.
Riferimenti tutti più che giusti e lodevoli, che danno vita ad un film godibilissimo, ma viste le premesse e soprattutto le intenzioni era lecito aspettarsi di più.