10 giorni con Babbo Natale, la recensione
Rinunciando sempre di più alla comicità cattiva ma lavorando con la consueta dedizione alla scenografia, 10 giorni con Babbo Natale è un film-addobbo
Rispetto al precedente film natalizio (Il peggior Natale della mia vita) questo prende molto più di petto la mitologia di Babbo Natale, dà in questo senso più una spallata al cinema americano (ma un piccola spallata, in realtà è sempre radicato più che altro nella commedia italiana) applicando la medesima struttura della saga, cioè una serie di sfortune che capitano a Fabio De Luigi mentre le persone intorno a lui o lo vessano o se ne lamentano, al servizio di una storia scaldacuore mirata a salvare il Natale e Babbo Natale in persona.
È il resto del film ad essere una ripetizione sempre più stanca del format iniziale con sempre meno slapstick e sempre più tenerezza familiare. Con sempre meno battaglia tra Abatantuono e De Luigi (inizialmente una versione nostrana del conflitto Stiller/De Niro di Ti presento i miei) e più tenerezze con la spalla femminile, passata nel tempo da Cristiana Capotondi a Valentina Lodovini. È un processo quasi inevitabile di normalizzazione di un film che nasceva un po’ più deciso e marcato della media. E per quanto è impossibile non avere almeno un po’ di soddisfazione per un film di Natale italiano con un vaghissimo odore internazionale, rimane l’impressione che la grande passione sia per le panoramiche con i droni sui paesaggi nordici, per la creazione dei set e degli ambienti, più che per la scrittura. Per la realizzazione di una buona patina più che di un buon film.
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