Zerocalcare ci parla di Strappare lungo i bordi: "Va alla velocità cui penso siano letti i miei fumetti"
Come è stata realizzata Strappare lungo i bordi, che ruolo ha avuto Zerocalcare nella produzione e farà mai un film dal vivo?
“Per me è LENTA! Lenta!! Io la volevo più veloce ma me l’hanno fatta rallentare perchè dicevano che ad un certo punto era troppo, non proprio era più accessibile. E c’avevano ragione eh...”
“Sì però lì il punto era che dovevo risparmiare, più durava il parlato più dovevo animare, qui invece non animavo io. Però te lo dico, mantenere il ritmo e la velocità era una conditio sine qua non per fare la serie”.
Perché?
“Ci sono molti buoni motivi. Il primo è che non sono un attore e se parlo veloce (che poi è anche la maniera in cui parlo di solito) ancora ancora va bene, se invece faccio le pause teatrali non sono in grado e se non facevo io il doppiaggio di tutti ci sarebbe stato un ulteriore scalino tra la mia voce narrativa e il prodotto. Il che mi metteva a disagio. L'altro motivo è che in realtà è una serie che parla di ansie e paranoie, di un piano emotivo frenetico e volevo che fosse restituito pure nella forma”
Pensi che i tuoi fumetti vengano letti a quella velocità?
“Abbastanza sì, sono molto verbosi se li leggessi lentamente sarebbero delle pippe infinite. Ma il bello dell’animazione è che posso dire in 10 secondi una cosa che nei fumetti dico in 2 pagine e tanti balloon”.
Sei puntate da 15 minuti circa fanno un totale di più o meno 90 minuti. È un film?
“La storia orizzontale funziona come un film che poi è anche come funziona La profezia dell’armadillo, ho proprio voluto seguire lo stesso tipo di procedura. All’inizio volevo una cosa più omogenea senza i microepisodi dentro agli episodi, poi mi sono reso conto che non ho ancora la dimestichezza necessaria con l’audiovisivo che mi consenta di ambire a così tanto. Quindi mi sono detto che forse era meglio rimanere nella mia comfort zone come avevo fatto con i fumetti: prima la profezia (una storia orizzontale tutta spezzettata) e poi Un polpo alla gola (che invece era proprio una storia unica). E qui uguale. Del resto l’esperimento di Rebibbia Quarantine, fatto di piccole unità, mi ha fatto capire che potevo gestire una serie tutta così”.
Almeno nelle prime due puntate le digressioni sono più significative ed efficaci della trama. Sembra che ci tieni di più, è così?
“La trama in realtà entra nel vivo a metà, è lì che acquista più spazio, però le digressioni servivano al contesto, il pubblico di Netflix mica si è letto i miei fumetti! Quindi dovevo raccontare chi sono i personaggi e che quadro emotivo hanno intorno”.
Come è funzionato il processo di animazione? Esattamente qual era il tuo ruolo a parte scrivere e recitare?
“Funzionava che prima scrivevo tutti i dialoghi, perché la serie è solo dialogata. Poi li registravo su cellulare e ci facevo uno storyboard animato rozzo, consegnavo tutto a Movimenti che lo dava ai loro storyboardisti i quali lo traducevano in un linguaggio cinematografico. Cioè io facevo tutte inquadrature a mezzo busto tutte uguali, loro ci hanno messo i carrelli, i punti d’inquadratura diversi… Poi io ho disegnato i turnaround di tutti i personaggi (cioè come sono a 360°) così che fossero disegnabili da tutti. Infine li abbiamo messi sugli sfondi con l’audio per capire come veniva e a quel punto io gli aggiustavo le espressioni, tipo le bocche o gli occhi, e glieli ridavo, loro li modificavano e via avanti e indietro”.
Quindi non hai deciso tu i movimenti? Tipo non so, come si siede l’armadillo...
“No no quello no, io sono stato più addosso alle espressioni o al gesticolare”.
Quanto ci è voluto?
“Poco! Siamo partiti a Natale ed è finito tutto all’inizio dell’estate”.
Anche perché per essere animata è molto statica…
“Sì e no, ci sono parti molto ricche. È una serie con molti dialoghi e quelli sono animabili velocemente ma nelle digressioni che ci stanno ci sono scene di massa e lì ci voleva un po’ più di tempo per farle. Ci hanno lavorato davvero in tanti”.
Sullo stile di animazione avevi delle idee?
“Come reference avevo dato Les Lascars, una serie francese di 3-4 minuti che va in onda prima del TG e racconta di pischelli delle banlieue, molto divertente e semplice, molto naturale nella recitazione. Solo che quella è una cosa tutta urbana mentre nella mia serie ci sono digressioni in cui compare roba come le battaglie di Il trono di spade, quindi è servita fino ad un certo punto”.
C’è una cosa che non sei riuscito a fare come volevi?
“Recitare meglio!”
No dai una cosa molto complicata nel fare una serie animata
“C’è una puntata in cui ci sono delle scene più drammatiche o più legate a momenti intimi (che non vor dì che scopamo eh!), un po’ più emo, che sono fatte con atmosfere luci notturne, lampeggianti, musica di un certo tipo e che volevo fare a fumetti ma a fumetti mi mancavano gli strumenti e qui invece li ho potuti usare al massimo”
Stefano Sardo, sceneggiatore di 1992, 1993 e 1994 e presidente dei Centoautori dice che in Italia, per come si produce, realizzare una serie come Fleabag è impossibile, cioè è impossibile un prodotto televisivo che sia espressione di una persona sola. Ma questo lo è.
“Di certo il consenso creatosi intorno a Rebibbia Quarantine ha aiutato a convincere chi era scettico sul fatto che una roba del genere potesse essere fruibile da un pubblico largo. Senza quello non avrei azzardato l’idea ad esempio di fare tutte le voci. E comunque penso che se chiami una persona perché la roba sua funziona e poi gli levi le caratteristiche sue sei un suicida”.
Gipi ha fatto due film dal vero, Igort uno, tu ci pensi?
“ZERO. Io non sono attore racconto storie autobiografiche e l’idea che mi interpreti un altro è uno scoglio. E poi avere a che fare con umani che devono interpretare quel che ho scritto per me è inaccettabile, sarei un tiranno e maniaco del controllo”.