View Conference 2017: Alessandro Jacomini ci parla delle sfide di Big Hero 6 e Frozen - Le Avventure di Olaf!

Abbiamo parlato di Frozen - Le Avventure di Olaf con Alessandro Jacomini, Director of Photography: Lighting della featurette in sala con Coco

Nato a metà degli anni '90, appassionato di cinema, serie TV e fumetti, continuamente in viaggio e in crisi con se stesso. Ama i pinguini e non certo per questo si è ritrovato a collaborare con BadTaste tra festival, interviste e approfondimenti.


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Anche quest’anno BadTaste.it è stato presente alla View Conference di Torino, il festival dedicato agli effetti speciali e al cinema animato giunto alla sua 18° edizione.

Durante queste giornate ricche di talk, presentazioni e masterclass abbiamo avuto modo di incontrare Alessandro Jacomini, Director of Photography: Lighting di Frozen – Le Avventure di Olaf, la featurette (come lui stesso ha tenuto a definirla) dei Walt Disney Animation Studios che vedrà il ritorno sul grande schermo della famiglia reale di Arendelle.

Questa precederà nelle sale italiane (e più o meno di quasi tutto il resto del mondo) il nuovo film dei Pixar Animation Studios: Coco.

Come spiegato durante il suo intervento pubblico “Il cortometraggio è un altro capitolo della storia di Anna ed Elsa e della loro corte, come i precedenti serve per capire com'è la loro vita dopo il finale del primo film. La scelta di farli uscire non è casuale, è un percorso verso il sequel, programmato per il 2019. La loro realizzazione, oltre alla supervisione di Chris Buck e Jennifer Lee (i registi del primo film e del primo corto, ndr) è dovuto alla genialità di John Lasseter ed Ed Catmull. Dopo un corto solare ed estivo come Frozen Fever, Olaf's Frozen Adventure deve dare una sensazione diversa essendo un’avventura invernale e natalizia. L'inverno non è come quello visto nel film che era ostile ma deve dare un senso di famiglia, accoglienza e calore.”

Di seguito la nostra intervista.

Domanda: Ciao Alessandro! Partiamo dal “passato”. L’ultimo volta che ci siamo visti non potevi dirci molto su Big Hero 6. Oggi, invece, puoi raccontarci quali sono state le sfide che avete affrontato per questo film?

Risposta: Lavorare al film è stata una bellissima esperienza soprattutto perché durante la lavorazione avevamo appena iniziato a usare Hyperion, il nuovo software sviluppato internamente (proprio da noi) per renderizzare il film. Fu la sfida più importante, era un grande rischio ma si è rivelata una grande vittoria al punto che abbiamo continuato a usare il software anche per tutti i film successivi, nonostante l’avessimo progettato appositamente per Big Hero 6. Da un punto di vista artistico avendo lavorato sia su Rapunzel che su Frozen entrare in un mondo più contemporaneo è stato molto intrigante, abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di vedere le cose: da lirico a realistico, dall'essere teatrali (con le luci) all'essere veri.

D: Per Frozen ci hai detto che la scena più complicata da realizzare è stata la costruzione del castello di Elsa, durante Let It Go. Qui, invece, qual è stata la scena più difficile?

R: Sicuramente la sequenza dove Hiro parla con Tadashi, attraverso Baymax. E’ una scena chiave e di risoluzione personale per il personaggio. Rivelare queste emozioni attraverso l’uso delle luci l’ho trovato molto appassionante.

D: Vista la presenza di almeno due film dei Marvel Studios in sala all'anno (ma si va per i tre fissi)… in qualche modo siete stati influenzati da questi?

R: Da un certo punto di vista… sì. Anche se devo specificare che come sempre l’idea è solo quella di ispirarci, mai emulare, per realizzare la nostra interpretazione di quello che, in questo caso, è il mondo dei Marvel Studios restituendo Big Hero 6 o un mondo riconoscibile tra quelli dei Walt Disney Animation Studios.

D: La città di San Fransokyo è il frutto dell’unione tra Tokyo e San Francisco, tra l’Oriente e il mondo americano. Come vi siete regolati per l’incontro di questi due mondi?
R: Le luci che si possono trovare a Tokyo sono assolutamente diverse da quelle di San Francisco. Abbiamo dovuto studiarle entrambe. Così abbiamo cercato di unirle sfruttando l’aspetto tecnologico della città di Tokyo come l’illuminazione al neon, la city finanziaria (che poi nel film abbiamo trasformato nel centro della città) con i contesti più industriali e le luci soffuse di San Francisco, che potete vedere nelle scene del film ambientate nel porto. In ogni caso non dovevamo solo unire questi elementi. Essendoci molte scene aeree dovevamo ricreare una vera e propria mappa della città che fosse riconoscibile da lontano e da diverse prospettive. Inoltre abbiamo cercato di giocare ulteriormente con i colori delle luci, per esempio il verde è stato associato al villians.

D: Arriviamo al presente: Frozen, Frozen Fever e adesso Le Avventure di Olaf.
Quali sono le differenze tecniche in questi tre titoli apparentemente simili?

R: C’è sempre un evoluzione nella tecnologia che impieghiamo, non ci fermiamo mai. Ogni produzione ci fa scoprire e sviluppare qualcosa di nuovo, soprattutto per una saga come quella di Frozen… anche se i personaggi sono gli stessi! A livello visivo li rendiamo sempre più sofisticati insieme, ovviamente, all'ambiente e alla neve. Dunque anche se alcune cose si automatizzano guadagnando in efficienza e tempo, cerchiamo di sviluppare altro, migliorando ancora la qualità. Fino a qualche anno fa, per esempio, non eravamo in grado di decidere colori e luci in base ai capillari del personaggio o tenendo conto della struttura osseo, oggi sì. In ogni caso dobbiamo sempre essere attenti a non rendere il tutto troppo reale, lavorando sempre a un mondo “stilizzato”. Dunque anche se alcuni effetti sarebbero più corretti e reali in un dato modo, arriviamo a farne altri.

D: A proposito della neve… Quanto ha influito la presenza di questo elemento nel tuo operato nella saga?

R: La neve è una componente fondamentale di Frozen ed è anche un fantastico strumento per il mio lavoro (oltre che una sfida), fa sì che possa utilizzare la luce come se mi trovassi davanti a un dipinto. Coprendo larghe porzioni dell’immagine mi permette di riflettere, far rimbalzare o assorbire la luce facendole assumere colori che posso controllare (solitamente molto pacati e volutamente “freddi”, mai troppo vivaci). Per far questo prima dobbiamo studiarla da un punto di vista fisico, in questo modo possiamo controllarne l’aspetto visivo, stilizzandola e rendendola esteticamente piacevole il più possibile. Inoltre, in questo corto è molto presente Olaf che… è interamente composto di neve!

D: Ne Le Avventure di Olaf le vicende raccontante iniziano di giorno e si concludono di notte, passando dalla luce all’ombra. Quale situazione è più difficile da realizzare?

R: Luci e ombre vivono simultaneamente: non c’è ombra se non c’è luce, l’una dà vita all’altra. Spesso, però, è più interessante cosa accade nell’ombra, lì l’occhio riposa, può esser sollecitato in più modi, facendo notare dettagli altrimenti persi. Tutto è però sempre legato al contesto. In questo corto, per esempio, ad Arendelle passiamo dal giorno alla notte permettendoci di usare la luce come uno strumento narrativo. Con l’inizio della vicenda, durante il giorno, abbiamo dato la possibilità a chi guarda di osservare tutto ciò che circonda i personaggi. Mentre ci avviciniamo verso il finale, con il calare della notte, permettiamo invece allo spettatore di sfruttare la propria fantasia per immaginare cosa non è illuminato.

D: Arriviamo al futuro. Progetti in programma?
R:
In questo momento non so esattamente a cosa lavorerò, e trovo la situazione molto interessante proprio per questo. Potrei pensare di informarmi e approfondire qualsiasi aspetto del mio lavoro o semplicemente riorganizzare le mie idee.

D: Secondo te cosa ci aspetta dagli effetti speciali, dalla luci, in futuro (all’interno dei Walt Disney Animation Studios)?

R: Da noi tutto dipende dalla storia che si vuol raccontare. Se una storia ha bisogno di realismo glielo diamo, se c’è bisogno di un’interpretazione più stilizzata facciamo quello. Anche se non produciamo necessariamente immagini realistiche è comunque sempre importante studiarle e sapere come si fa. E’ dall’osservazione della realtà che capiamo com’è e come va interpretata, come i grandi pittori del passato. E’ vero che esiste un certo stile nei nostri film ma questo non preclude uno studio più approfondito di altro. Spesso la stilizzazione parte dallo studio di elementi reali, eliminando ed eliminando elementi in sovrappiù per, magari, lanciare un messaggio in modo più evidente.

Cliccando QUI, inoltre, potrete recuperare la nostra precedente intervista ad Alessandro, dedicata alla sua carriera e il suo lavoro in Frozen – Il Regno di Ghiaccio.

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