Verso il ritorno di Lumina: intervista a Emanuele Tenderini

Aspettando il secondo volume di Lumina, abbiamo intervistato lo sceneggiatore e colorista Emanuele Tenderini, fondatore di Tatai Lab

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A seguito della recensione del primo volume di Lumina, abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei suoi due creatori: Emanuele Tenderini, seneggiatore, disegnatore e colorista alla guida della giovanissima realtà Tatai Lab, insieme a Linda Cavallini.

Ciao, Emanuele, benvenuto su BadComics.it. Da autore sei diventato editore, creando Tatai Lab, ma inizialmente non volevate fare concorrenza alle case editrici esistenti. Cosa è successo?

Emanuele TenderiniGrazie a voi. Sì, all’epoca del primo crowdfunding per Lumina, dissi che non volevo entrare in competizione con gli altri editori e continuo a sostenerlo. Il crowdfunding non sostituisce l’editoria ma è un complemento ad essa, soprattutto perché in Italia in pochi producono contenuti originali, mentre c’è, invece, tanta acquisizione di royalties estere, ristampe e adattamenti. Attualmente solo Bonelli e Disney, nel nostro paese, fanno eccezione a questo sistema, ma Bonelli è imbrigliata nei suoi prodotti ormai vecchi rispetto al resto del mondo, in un sistema di suoi codici che sì, si è evoluto, ma rimanendo ancorato a dei limiti che fanno sentire il peso degli anni. Disney, chiaramente è una scuola internazionale, una macchina da guerra che esiste da quasi un secolo e che detta le sue regole in, quasi, un suo personale mercato.

Sono d'accordo con Lucio Staiano quando dice che Shockdom è il secondo più grosso editore di contenuti originali in Italia. Da autore - e da editore - ho una linea progettuale ben precisa, una linea di prodotto che corrisponde a una filosofia chiara, rispetto a ciò che voglio comunicare al mio pubblico. Ho avuto la necessità di creare il Tatai Lab per avere un partner che credesse nella mia visione: me stesso. Chiaramente c’è Linda, la mia alleata numero uno. Ma non essendo presente, preferisco parlare per me.

Alcuni detrattori di Lumina ne hanno criticato il prezzo, giudicato fuori mercato. 

I volumi di altre case editrici, nelle librerie, sono mediamente sui € 20-25. Addirittura sto vedendo dei crowdfunding di libri venduti a € 30 circa, ma con stampa standard in quadricromia. Non è una critica, ma il prezzo di Lumina è addirittura vantaggioso, perché con la stessa spesa si ha un prodotto stampato in multicromia. Stampare in multicromia significa avere costi di produzione quadruplicati! Ovviamente, la filosofia del Tatai Lab non è mai stata quella di guadagnare, ma di investire tutto per fare il miglior prodotto possibile.

Lumina, copertinaNon dico che stiamo creando dei capolavori, ma secondo la nostra professionalità cerchiamo di dare il meglio di noi. Questo ci ha ripagati, perché non abbiamo chiuso in rosso ma in pari. E avremmo potuto avere un guadagno, se non avessimo scelto di investire, ad esempio, sulla seconda tiratura di Lumina. Non era strettamente necessaria: avevamo già venduto 3.000 copie, risultato stratosferico per un prodotto indipendente, ma era esaurito e volevamo presentarci a Lucca Comics 2015 con delle copie per coloro che lo volevano acquistare.

Stampare altre 3.000 copie, però, sono altri 20.000 € di spesa (sostenuta con la partnership di Manicomix). O lo spin-off World of Lumina: Shani, anch’esso era un progetto non strettamente necessario. Nessuno lo aveva chiesto, il pubblico non se l’aspettava e nel nostro business plan non era previsto. Ma World of Lumina è stato, anche questo, un grosso investimento, di circa € 7.000, in partnership con la Scuola del Fumetto di Palermo, per un volumetto con tiratura da 5.000 copie. E siamo riusciti a pagare disegnatore, colorista e sceneggiatore. Siamo arrivati in pari investendo in altri progetti e pagando gli autori. Tutto questo partendo da zero, dal crowdfunding!

Cos’ha Tatai Lab che manca agli altri editori?

Non posso dire che gli altri non abbiano il coraggio di investire in linea generale. Ma posso affermare con estrema certezza che finora alcun editore ha avuto il coraggio di investire sulle mie personali idee. Quando ho provato a proporre Lumina ad altri editori, l’unica cosa che chiedevo era di avere, da parte loro, la stessa cura che avrei avuto io per il mio libro.

Il mio investimento è disegnare per te gratuitamente; tu dimostrami che puoi fare la tua parte pubblicizzando il libro e producendo dei gadget da portare alle fiere, così da avere un minimo di sostegno di merchandising. Mostrami che promuovi il mio libro inserendolo nel tuo catalogo, organizzando incontri nelle librerie e via dicendo. Io cercavo questo dagli editori. E, almeno per quanto mi riguarda, non ho trovato una disponibilità del genere. Per questo ho creato il “mio” editore.

Il livello di world building di Lumina è elevatissimo. Perché, dunque, preoccuparsi anche della grafica come avete fatto? La stampa in policromia non è, per così dire, “eccessiva”?

Lumina, anteprima 04Perché? Se il mondo che abbiamo creato è ben strutturato, perché non avremmo dovuto curare ugualmente bene il comparto grafico? La risposta a questa domanda è soprattutto “lo faccio per me stesso”. Se devo lavorare a un progetto mio, in cui credo, lo faccio al meglio. Come disegnatore e colorista, quindi, cerco di offrire il meglio al mio pubblico, che si merita di vedere i risultati della mia ricerca e del mio lavoro. E, soprattutto, a me piace fare le cose al meglio! Se qualcuno si è definito “infastidito” da questa “filosofia” - e c’è stato, te l’assicuro – il consiglio è di non preoccuparsi per Lumina, ma di guardare altrove.

Alla fine del primo crowdfunding abbiamo venduto 1.400 copie di Lumina. Le successive 1.600 le abbiamo vendute dal vivo in fiere e durante incontri nelle fumetterie. Tutti contesti in cui io e Linda eravamo davanti a un pubblico reale e spiegavamo le nostre intenzioni. E quel pubblico, che è diventato il nostro pubblico, l’ha capito.

Qualcuno ha criticato il fatto che la storia, nel primo volume di Lumina, fosse però poco approfondita…

La progettualità della storia deve essere giudicata a opera compiuta. Io e Linda stiamo accompagnando i lettori in un viaggio di cui conosciamo tanto l’inizio quanto la fine, dove tutto verrà spiegato.

Solitamente, in quelle che potremmo definire “space opera”, abbiamo la vicenda del protagonista che traina il tutto, il “viaggio dell’eroe”. In Lumina i comprimari non servono solo ad affiancare l’eroe, ma hanno una loro personalità, un loro passato. Le storie di questi personaggi si intrecciano con quella dell’eroe, ed ecco che nascono gli spin-off, in cui scopriamo il carattere di uno, la storia pregressa di un altro e così via.

Lumina è un esperimento di narrazione che vorrebbe distaccarsi da quelle che sono le tappe classiche del viaggio dell’eroe, entro i limiti del possibile. Ed è, soprattutto, un esperimento per capire se, oggi, un libro stampato - e quindi non un videogioco o un’animazione - possa ancora funzionare.

Quindi con il medium tradizionale si può ancora far vivere un viaggio al lettore?

Lumina poteva benissimo essere la storia del protagonista che parte dal punto A per arrivare al punto B, senza "l’ausilio” di una trama. A me interessava raccontare un viaggio, tramite gli ambienti, le luci che cambiano, le atmosfere, i tramonti, le albe, il vapore acqueo, la pioggia... Volevo capire se l’immedesimazione che si può provare con un videogioco, in cui l’interattività ti fa entrare dentro al medium, la puoi verificare nel fumetto, aumentando le percezioni ottiche e i suggerimenti atmosferici della tavola. Che rappresenta, per me, un modo di avvicinarsi a un concetto cinematografico di fumetto, ma è anche - e soprattutto - avere una cura della tavola superiore a quella abituale.

Lumina, anteprima 01Non che questo sia l’unico modo per ottenere questa immedesimazione. Prendiamo ad esempio il meccanismo dei manga: perché funzionano? Perché i giapponesi sono dei folli che producono dieci, venti, quaranta tavole a settimana! E tu non ti stacchi mai dal mondo che ti raccontano, ne sei sempre dentro! È un meccanismo fenomenale ma non possiamo competere, in questo. Noi non potremmo mai produrre quaranta tavole a settimana! È necessario avere a disposizione un grosso team e bisogna accettare che per produrre a questa velocità serva scendere a compromessi, come quello di utilizzare soprattutto primi piani e mezzi busti per accelerare la fase di disegno.

Questa “immersione”, ad ogni modo, io personalmente ho avuto modo di provarla con i francesi, soprattutto con Moebius, il maestro dei maestri, dove si trova una rifinitura della tavola e del disegno, e un livello del dettaglio e una colorazione così elevati, che riescono a trasmetterti un’atmosfera ben precisa. Ma anche Lucky Luke, Asterix, Thorgal; tutti quei fumetti dove la componente cromatica e la ricerca dell’immagine sopperiscono al gap di interazione.

Quando sento i colleghi disegnatori di scuola più classica dire che il fumetto è morto per la concorrenza dei videogame, mi si accappona la pelle e dico: “No, il fumetto non muore per via dei videogame, il fumetto muore perché c’è resistenza di fonte all’evoluzione e all’innovazione!”

L’opera del Tatai Lab rappresenta quindi il prossimo passo evolutivo del fumetto, almeno in Italia?

Le cose sono sempre cambiate: l’evoluzione è cambiamento! Ma gli italiani hanno difficoltà di fronte a questo: costruiscono il loro orticello e non vogliono evolversi. Nel nostro Paese non c’è il coraggio di credere e investire nei propri sogni, c’è solo il coraggio di ascoltare Maria De Filippi che ti dice di farlo. Spesso, qui, il sogno è rappresentato dalla speranza che qualcosa possa cambiare per ragioni esterne: il mito della Lotteria Italia e dell’Enalotto. Non viene contemplato, dai più, che uno possa prendere in mano la situazione e mettersi in gioco per volerla piegare alle sue necessità.

Per l’attuale realtà del Tatai Lab, internet e soprattutto i social network svolgono un ruolo fondamentale. Come vedi le dinamiche del mondo dei fumetti all’interno di Facebook?

È caratteristico che su Facebook tutti i fumettisti sembrino dover essere amici, quando non vedo - per fare un esempio - tutti gli idraulici d’Italia amici sul social network. Sembra che fare il fumettista sia più un aderire a un’associazione, che svolgere una professione. E che tutti gli “affiliati” debbano essere amici. Mi diceva un conoscente che su Facebook ha tantissimi amici disegnatori che non conosce, con cui non condivide idee, programmi, eccetera. Ma, se li bloccasse o togliesse loro l’amicizia, qualcuno potrebbe offendersi. Non ha senso: il 90% delle “amicizie” non hanno senso! Siamo in contatto solo perché facciamo lo stesso mestiere. Non c’è interazione. Anzi: c’è competizione! E, difatti, gli unici detrattori di Lumina sono stati gli addetti ai lavori.

Forse questi addetti al lavoro sono stati spaventati, o infastiditi, da un game changer come Lumina?

Lumina, anteprima 05Non voglio passare per presuntuoso nel pensare che Lumina possa spaventare o anche solo infastidire. Credo che se uno produce arte, creatività, storie o intrattenimento, la ricerca che è tenuto a compiere sia verso il meglio. E noi abbiamo solo fatto questo. Se qualcuno ha trovato in Lumina una minaccia a un determinato equilibrio - e, nel caso, più che Lumina potrebbe aver spaventato il sistema del crowdfunding in sé - vuol dire che non merita di fare questo lavoro. O che deve innovarsi.

Se poi a infastidirsi sono stati gli editori alle cui porte avevo bussato e che non mi hanno mai risposto… beh, io ero venuto a presentarvi il progetto, ma voi non avete creduto nelle mie idee. E io ho prodotto il mio libro autonomamente.

Sei molto deciso e combattivo: hai dovuto spiegare molte volte, ai detrattori, questi concetti?

La mia aggressività è contro questo sistema di cose. Vorrei fare meno fatica per realizzare i miei libri, vorrei un sistema che mi permetta di produrli come voglio io, anche in termini di marketing. Forse, il sistema funziona per qualcuno. Ma non per me! E io desidero migliorarlo, per me e per tutti quei giovani autori che vorrei veder pubblicati ma che non riescono a orientarsi in un sistema che non li sa accogliere e guidare nella pratica della produzione dei libri.

Questo perché il mercato non ha la volontà di puntare sui giovani?

Le grandi case editrici tendenzialmente non ce l’hanno. Preferiscono basarsi (molte volte a ragione) su una professionalità consolidata. Certo, lavorare con i giovani non è semplice: bisogna sapere imbrigliare un talento. Il giovane può non essere pronto ad accettare le critiche in maniera umile, ad accettare l’incanalamento in un sistema produttivo. Ha talento ed energie da spendere ma, di contro, ha una personalità da imbrigliare. Per i grossi editori può essere un problema, perché bisogna sostenere dei ritmi e della dinamiche che non possono venir meno a causa, magari, di un dipendente che salta una scadenza o simili.

Gli editori medio piccoli, invece, investono nei giovani con lo scopo di risparmiare il più possibile. Questo non è produrre talento, ma consumare quello di un autore che, dopo un paio di libri, dovrà poi confrontarsi con la vita vera e con certe aspettative professionali: questo lavoro deve diventare un po’ più di “guarda mamma ho pubblicato un fumetto, ti prego comprane una copia”. E questa è una problematica molto stratificata.

E quindi i giovani sfruttano il web per emergere. Ma quanto è competitiva questa nuova “piazza”?

Lumina, anteprima 06I social network e la relativa visibilità sono un’unità di misura completamente virtuale. Ci sono, sì, gli outsider, che hanno grande seguito su Facebook e vendono tanto, ma non c’è una diretta corrispondenza tra il seguito on line e le vendite cartacee. Soprattutto perché Facebook stesso limita la visibilità rispetto ai fan che hanno deciso di seguire una certa pagina o un certo autore. Tant’è che l’Edge Rank di Facebook è al 5%. Ovvero, se pubblichi una notizia sulla tua pagina, solo il 5% degli utenti ne sono raggiunti. Per raggiungere più persone bisogna pagare proporzionalmente.

Secondo me viviamo nel paradosso di essere nell’era della comunicazione, in cui la comunicazione ha un prezzo! Siamo stati abituati a usare Internet gratis, così che ci assuefacessimo alla sua presenza e ai suoi meccanismi, fino a non poterne più fare a meno. E adesso comincia ad essere tutto a pagamento: come creare contenuti pubblicitari per la televisione. E per chi questi contenuti li offre, è un sistema competitivo, quasi quanto un’asta. Per di più non segue regole scritte e chiare: io sono disposto a pagare, ma vorrei che mi venisse spiegato un po’ meglio il meccanismo. Dimmi che se pago “x” ottengo “x”. Se devo seguire le tue regole, dimmi quali sono. Non costringermi ogni mese a guardare i video dei “marketing guru” su YouTube per cercare di capirne qualcosa. Dimmelo tu come funzioni, Facebook! Invece, il meccanismo si è fatto così complicato da tagliare fuori dal mercato chi non lo comprende in tutte le sue sfaccettature. O chi non può permettersi un marketer… e il bello di internet era che ti rendeva indipendente!

Gli strumenti d’accesso ai meccanismi del web non celarmeli: sono un professionista indipendente che non può permettersi di pagare un addetto marketing. Posso pagarmi le sponsorizzazioni su Facebook, ma devo averne il controllo. Altrimenti diventa un’asta in cui gli editori più grossi possono pagare così tanto da far sparire - letteralmente – l’attività dei più piccoli, che non hanno gli strumenti finanziari adeguati per competere con la sponsorizzazione. Ma se lavoro gratis e in più non posso permettermi di pagare le sponsorizzazioni, dove va a finire il mio lavoro di artista indipendente? È per questo che il crowdfunding spaventa: dà accesso a strumenti finanziari in un sistema in cui sono i soldi a far realizzare i progetti.

Il crowdfunding, inoltre, vi permette di relazionarvi direttamente con il pubblico…

Esatto. E di costruire il tipo di rapporto che vogliamo, con dei lettori che possono relazionarsi con noi circa la nostra progettualità, la nostra professionalità e il nostro modo di essere. Su Facebook è facile acquisire visibilità con toni aggressivi e polemici. È come guardare il morto in autostrada: se non c’è il morto nessuno si ferma a guardare, quindi bisogna “crearlo”. Noi, invece, vogliamo avere un pubblico di qualità che segue la nostra filosofia e il nostro carattere.

Lumina, anteprima 02Il bello della seconda campagna di Lumina è stato che abbiamo sì raggiunto un target più basso della prima, ma questo perché siamo passati da un pubblico casual - che aveva comprato Lumina senza sapere che cosa stava acquistando - ad un pubblico consapevole. Molti quando hanno ricevuto il primo volume di Lumina ci hanno scritto: “Ah ma non finisce la storia?”, ma noi lo avevamo detto subito che era solo il primo! Tutti coloro che hanno preso il secondo volume, invece, sono consapevoli, sanno di che progetto si tratta, vogliono veder continuare la storia, posseggono lo spin-off… E sono al corrente della filosofia del Tatai Lab.

È questa la chiave per creare la differenza: essere un pubblico consapevole, non un pubblico “ipnotizzato” da un pifferaio magico che ti dice cosa devi pensare e quali fumetti devi comprare. Un pubblico che comincia a capire, a valutare la qualità di un prodotto e che lo acquista consapevolmente. Un pubblico che capisce che il sostegno a un’idea ha un valore. Che il suo apporto ha un peso. Un pubblico che capisce che dando quei soldi realizza qualcosa di cui fa parte anche lui.

Prima di salutarci, puoi darci qualche anticipazione su quel che ci aspetta in Lumina 2?

In Lumina, tutto era così elaborato che l’altissimo livello grafico diventava lo standard. E questo, in un certo senso, era negativo, in quanto non si poteva far coincidere un picco narrativo con un picco grafico. Nel secondo volume vorrei gestire la narrazione estetica così che il climax narrativo coincida con un picco grafico. Inoltre, il primo volume era un tripudio visivo volto a mostrare le nostre potenzialità. A volte, però, è necessario avere il coraggio di semplificare le cose.

In Lumina 2 ci saranno dei tratti di storia in cui si potrà procedere guidati dalla narrazione, ma gli snodi più importanti della trama saranno sottolineati da una maggiore cura estetica. Questo dovrebbe anche accorciare i tempi di lavorazione in vista dei prossimi volumi. A livello visivo, comunque, difficilmente sarà percepibile: significa che che invece di usare 50 livelli per vignetta, ne uso 35 per ottenere lo stesso risultato.

La cover di Lumina 2 è l’esempio perfetto di ciò che, per me, rappresenta questo secondo capitolo: nella prima copertina c’è tanto colore, tante tonalità diverse. Vediamo - letteralmente - un’esplosione cromatica che ha richiesto più di mille livelli per crearla. C’era la voglia di mostrare ciò che potevamo fare! Per la seconda cover ci siamo detti: Ok, prima abbiamo voluto esagerare. Adesso cerchiamo di focalizzare dei dettagli. Approfondiamo, con più controllo.

Attendiamo curiosi, quindi, l’appuntamento con Lumina 2, in uscita a dicembre.

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