Venezia 72 - Everest, il nostro incontro con Baltasar Kormákur!

Abbiamo incontrato il regista islandese Baltasar Kormákur autore del film di apertura di Venezia 72 Everest, kolossal sulla sfortunata spedizione del 1996

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Dopo aver stretto un buon sodalizio hollywoodiano con Mark Whalberg per Contraband (2012) e Cani Sciolti (2013), il regista islandese Baltasar Kormákur ha deciso di realizzare un film corale di montagna ispirato a una vera tragedia accaduta a un gruppo di scalatori sulla vetta dell'Everest nel 1996. Il film ha aperto la 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e questo è il resoconto del nostro incontro con il regista quarantanovenne originario di Reykjavik. Il film uscirà nelle nostre sale il 24 settembre.

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Perché ha scelto di dirigere questo film?
Penso che parte della mia natura sia sfidarmi e mettermi in difficoltà. Era una storia fortissima e molto semplice. Quando la mia carriera si è aperta a film dai budget sempre più ambiziosi, ho pensato che questa storia fosse la scelta perfetta per me. Inoltre mia figlia nacque praticamente nell'anno della tragedia e quindi mi sento molto vicino umanamente a quella tragica spedizione del 1996.

Qual è il suo rapporto con la montagna?
Sono nato in un'isola di montagna come l'Islanda. Ho scalato nella mia vita anche se mai nulla di così difficile come l'Everest. David Breashears mi ha aiutato come consulente tecnico.

Cosa ne pensa del grande turismo in relazione a queste scalate così difficili? 
Il libro scritto dal giornalista presente durante la tragedia Jon Kracauer (interpretato nel film da Michael Kelly, N.d.R.) sottolinea come il turismo e la competizione tra le varie agenzie per portare gli scalatori amatori sulla vetta, sia uno dei motivi secondo lui della tragedia del 1996. E' il punto di vista del suo famoso libro tratto da quella esperienza Into Thin Air. Ci sono dei buchi informativi e degli errori nel suo libro e quindi la sua non è la verità assoluta. Sono andato in Nuova Zelanda e ho avuto la possibilità di sentire le registrazioni che Helen Wilton (la interpreta nel film Emily Watson, N.d.R.) conservò relative a quelle drammatiche conversazioni tra lei, Rob Hall e sua moglie Jen. Erano 18 anni che non sentivano quelle registrazioni. Hanno volutamente riaperto quella ferita. Nessuno sapeva di quelle registrazioni, le quali sono importantissime a livello informative. Ho sentito il vero Rob Hall parlare con la moglie. C'è critica nel film nei confronti del turismo di scalatori amatoriali? Non saprei. Non è un film di propaganda e io personalmente non ho delle intenzioni precise da questo punto di vista. Amo la natura. Non giudico questi signori che si rivolgono alle agenzie per scalare l'Everest. Ho cercato di realizzare un film che permettesse allo spettatore di farsi una sua idea personale sulla vicenda.

Ma lei che ne pensa dal punto di vista personale?
Il mio punto di vista è semplice: non si può giudicare male quegli scalatori professionisti che non tornarono indietro a recuperare gli altri scalatori bloccati perché... chi è di noi che lo avrebbe fatto? Quante volte ci capita di passare vicino a una persona sdraiata per strada nelle città dove abitiamo... e ci chiediamo se stia bene o no? Dobbiamo immaginare che quei signori erano in mezzo a una tempesta e che tornare indietro li avrebbe potuti uccidere senza avere la minima certezza di poter salvare delle persone. Io non giudico negativamente uno che in quella situazione decide di non tornare indietro. Giudicherei un eroe chi facesse il contrario, non mi fraintendete. Sarebbe un eroe chi riuscisse a mettere a rischio la sua vita per recuperare uno scalatore in difficoltà. Ma uno che non lo fa... non è una cattiva persona per me.

Ha avuto pressione da parte dei parenti delle vittime durante la lavorazione del film?
Nessuno mi ha messo pressione e nessuno mi ha tenuto d'occhio. Ho deciso io da solo cosa potessi raccontare e cosa no. Non è un biopic ma un film che racconta una cerca circostanza. Dicevo sempre agli attori di non recitare... ma di essere semplicemente quei personaggi. Ho cercato di ridurre al minimo gli effetti hollywoodiani. Certamente ho cambiato qualcosa rispetto al resoconto dettagliato degli eventi. Ma tutto ciò è inevitabile se vuoi un film di questo tipo.

Era importante mantenere una somiglianza fisica tra gli attori e le persone vere di quella drammatica vicenda?
Ho cercato il cuore del personaggio. Il centro interiore. Rob Hall era una persona onesta e semplice e penso che Jason lo rappresenti molto bene anche se è australiano. I neozelandesi sono molto alla mano e un po' campagnoli proprio come noi islandesi. Beck Weathers non poteva essere nessun altro se non Josh Brolin: sguaiato e comico ma con una sensibilità interiore che non ti aspetti. Jake Gyllenhaal doveva portare una differente energia. Il suo Scott Fischer era diverso dai neozeldandesi ed era più... "americano" e rilassato.

Possiamo dire che il tema sotterraneo del film è: "Non fatelo!"
No. Il mio è più un avvertimento che dice: "Se lo vuoi fare è meglio che ti prepari molto bene". Io non voglio dire cosa la gente deve o non deve fare o pensare.

Si è dato una risposta al perché questi scalatori amatoriali sono così ossessionati dall'arrivare in vetta?
Non c'è una risposta semplice. E' un test in cui misuri te stesso in relazione alla natura. I montanari non sono filosofi. Non lo sanno spiegare perché fanno quello che fanno.

Chi è l'elicotterista in quella scena finale così riuscita da risultare la migliore del film?
E' un attore nepalese di nome Vijay Lama. E' famosissimo in televisione da quelle parti. Una vera e propria star.

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