Tutto su Andrea Di Stefano e su come ha scritto e girato il crimine cinese in L'ultima notte di Amore
L'inizio da attore, la formazione in America e poi la sceneggiatura di L'ultima notte di Amore: tutto su Andrea Di Stefano
L'ultima notte di Amore, con Pierfrancesco Favino, esce al cinema il 9 marzo
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Non resisto, una cosa te la devo chiedere subito: questo crimine cinese che rappresenti con dei segni molto forti e originali (come parlano, dove vivono, come sono arredate le case, come vestono…) da dove viene? Quanto è un’invenzione letteraria e quanto ti viene dal periodo di osservazione che hai fatto?
“Diciamo che le ho potute vedere da lontano queste figure, in luoghi che è meglio non dire qui. Sono andato ad osservarli da lontano, ho trovato una posizione privilegiata che mi è costata dei soldi ma mi ha consentito di osservarli”.
Ma anche gli interni?
“No quelli sono frutto di descrizioni che mi sono state fatte, è tutto basato su quello. La partita di calcio che guardano le comparse nello sfondo ad esempio non sta lì per caso. Nei racconti che ho raccolto c’è molto calcio, specialmente da quando una squadra come l’Inter è stata acquistata dai cinesi. C’è molto tifo insieme a dinamiche più tradizionali come le domeniche passate a celebrare gli anziani”.
L’ultima notte di Amore è il primo film che fai in Italia dopo due americani. Come funziona la tua carriera? Hai un agente qui e uno lì?
“Non ho agenti. Ho capito che non servono. Serve inviare sceneggiature buone ad attori che possano essere interessati. In America sono stato rappresentato da agenti anche importanti ma non mi è servito a molto. In Italia ho un avvocato specializzato in cinema che è anche un amico di famiglia con cui lavoro ai contratti, non un agente nel senso convenzionale del termine”.
Il cinema hai imparato a farlo in America però
“Sono andato in America molto tempo fa per fare l’attore ma ho avuto anche modo di lavorare sulla struttura dei personaggi, capendo come si descrive un buon personaggio. Sono stati i primi insegnamenti di scrittura quelli, i primi che ho assorbito e che mi hanno spinto, quando guardavo dei film, a leggerli diversamente, facendomi domande e giocando con l’idea di come avrei potuto migliorarli”.
Quindi hai imparato a scrivere e dirigere guardando film?
“Sì e guardando altri registi sui set. Ho imparato da tutti quelli con cui ho lavorato”.
E poi hai esordito con un film su Escobar con Benicio Del Toro!
“...e senza mai aver diretto un corto! Dodici milioni di budget, che erano davvero tantissimi. Ho scritto una sceneggiatura che era piaciuta molto, me l’hanno fatta pitchare a gruppi di persone sempre più grandi e la gente continuava a sembrare interessata. Non ci è voluto poco per metterlo insieme il film eh, e pure per convincere Benicio, ma ora mi sento di poter dire che ci stimiamo”.
La sceneggiatura di L'ultima notte di Amore invece l’avevi pitchata prima in America o era “per l’Italia”?
“L’ho scritta sapendo che interessava ad Indiana. Molto del film è stato ispirato durante le ricerche che ho fatto per scrivere Bang Bang Baby. Ero andato a piazza Prealpi, per vedere un palazzo dove avrebbero vissuto i protagonisti, avevo parlato con persone che avevano vissuto gli anni in cui è ambientata quella storia e che me li hanno descritti. Quella serie l’avrei anche voluta dirigere ma non c’è stata possibilità, per questo avevo fatto il tipico percorso di indagine e domande di quando dirigo i film. Ad ogni modo quelle conversazioni mi hanno fatto venire la curiosità di esplorare di più quel mondo. Poi ha aiutato che la sceneggiatura sia piaciuta subito a Pierfrancesco Favino. Io e lui avevamo la stessa ambizione: fare un film di questo tipo ma con una produzione e un impegno dal punto di vista del budget importanti. Farlo bene”.
Sì però in molti iniziano così. Poi farlo bene per davvero è un'altra cosa
“Non ti credere, è una questione di impegno, serietà e dedizione. Sono andato in strada a Milano già prima della fase di scrittura e ho cominciato a parlare con la gente, poi accade che A ti presenta B e B ti presenta C e ti trovi sempre più al centro di ciò che stai provando a raccontare”
Nonostante sia solo il tuo terzo film dimostri una capacità di gestire il tempo del racconto fantastica. Lo dilati o lo comprimi senza nessun effetto negativo sul ritmo, anzi in certi punti sembra che più dilati il tempo più si crei tensione…
“Sono sempre stato affascinato dall’abilità di Hitchcock di dare una geometria alle arene narrative e poi fidarsi del fatto che lo spettatore stia lì con i protagonisti, entrando nel ritmo del pensiero dei personaggi. Pensa a La finestra sul cortile, tutti diventiamo questa coppia e ad un certo punto entriamo nel loro ritmo cominciando a chiederci come potremmo fare, quale dovrebbe essere il passo successivo. Anche Kurosawa faceva qualcosa di simile, ma invece che dare geometria all’arena narrativa ne creava una per la vita interiore dei personaggi, per cui da spettatore cominci a sentire ciò che il personaggio vuole fare ma non può o non riesce a fare. Tutti modi di entrare nella testa del protagonista e sentire quel che sente lui. Tecniche di racconto che mi affascinano. Quindi io sapevo che se all’inizio del film avessi portato Franco Amore in temperatura, mostrando bene chi è, qual è la sua storia e quello che ha nella vita, il pubblico sarebbe stato sempre dentro di lui, nelle sue scarpe”.
Ti sei formato in America, poi hai lavorato anche molto in Italia, hai fatto i primi film in Italia e questo poliziesco sembra quasi avere i toni dei migliori polizieschi francesi.
“In realtà io mi sento 100% italiano come regista, tengo tantissimo alla nostra abilità di mettere insieme dramma e commedia e penso che L’ultima notte di Amore sia molto italiano. Cioè io ho scritto una scena in cui il protagonista si manda a fanculo con la moglie e sapevo di poterlo fare perché gli attori avrebbero recitato in italiano dei personaggi italiani. Quando la moglie di Franco porta la parmigiana a Bao Zhang è una scena ispirata dalla realtà, si tratta di una magia che è solo nostra, in un film francese non ci sarebbe mai”.
Hai citato il personaggio della moglie di Franco Amore, interpretato da Linda Caridi. Lei ha già fatto diversi film importanti da co-protagonista ma non l’avevo davvero mai vista così in forma, così incisiva e così determinante. Che lavoro hai fatto con gli attori?
“Ho fatto le cose come una volta: un casting aperto. Avevo scritto delle scene ad hoc per i provini, perché volevo fossero difficili, volevo mettere le attrici alla prova, ho scritto cose diverse con il personaggio di Viviana come protagonista. Ad esempio una scena era di lei che andava dal prete e confessava una cosa molto personale. Io poi non avevo visto niente di Linda Caridi ma dal suo provino era chiaro che c’era una turbina pronta a partire. Lei sì è presentata già come Viviana, anche quando le ho chiesto di dirmi cosa faccia (come attrice) ha risposto come fosse Viviana, in calabrese, finendo per dare il suo numero di telefono così da essere richiamata e poi fingendo che ci fosse il fidanzato dietro la macchina e fermandosi e scusandosi per le proteste gelose di lui”.
Hai scritto scene apposta per i provini? È chiaro che hai una facilità di scrittura non comune…
“Non mi viene facile scrivere ma mi piace, mi devo innamorare di un gruppo di persone e del loro passato e capire come agiscono nel presente, però non mi viene facile. Come se facessi una lunga preparazione in cui convincermi che ne so a sufficienza per scrivere”
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