Tutta la luce che non vediamo: lo scenografo ci svela il lavoro sul mondo creato da Anthony Doerr
Il production designer Simon Elliott ci ha rivelato il suo lavoro dietro le quinte della miniserie Tutta la luce che non vediamo
Lo scenografo Simon Elliott (Black Mirror, The 355) ha lavorato a Tutta la luce che non vediamo, la miniserie ora disponibile su Netflix tratta dall’omonimo romanzo best seller e vincitore del Premio Pulitzer di Anthony Doerr. Abbiamo avuto l'opportunità di intervistarlo e parlare con lui degli ostacoli che ha superato e le sfide che ha affrontato per portare in vita sullo schermo il mondo creato dallo scrittore.
Tratta dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer, Tutta la luce che non vediamo segue la storia di Marie-Laure, una ragazza francese cieca, e di suo padre, Daniel LeBlanc, che fuggono dalla Parigi occupata dai tedeschi con un diamante leggendario per impedire che finisca nelle mani dei nazisti. Braccati senza sosta da un crudele ufficiale della Gestapo che vuole impossessarsi della pietra preziosa per il suo interesse personale, Marie-Laure e Daniel trovano presto rifugio a St. Malo, dove vanno a vivere con uno zio solitario che diffonde le trasmissioni clandestine per la resistenza. In questa cittadina sul mare una volta idilliaca, il percorso di Marie-Laure incrocia inevitabilmente quello di un’improbabile anima gemella: Werner, un adolescente brillante arruolato dal regime di Hitler per rintracciare le trasmissioni illegali, che invece possiede un legame segreto con Marie-Laure e con la sua fiducia nell’umanità e la sua speranza.
Non lo ero. Devo ammettere che non l'avevo letto, ma quando ho la fortuna di ottenere lavori che sono adattamenti di romanzi, in genere, come regola, leggo sempre.
È una delle prime cose che faccio: mi dà un'idea di quanto è stato scritto in originale, perché ovviamente quando una sceneggiatura viene adattata, molte delle qualità descrittive di un romanzo vengono tralasciate, diventa una questione di dialogo e di relazione emotiva tra personaggi, quindi per me è sempre utile avere una piccola visione di come lo scrittore vedeva il mondo.
Il romanzo di Anthony Doerr riesce a creare un'immagine molto precisa degli spazi e dei personaggi. Non avendolo letto e non essendo a conoscenza del suo successo, ha quindi sentito meno la pressione delle aspettative di chi ha apprezzato il libro?
In qualche modo, sì. Non sapevo quanto fosse amato, il che probabilmente è un bene perché non avevo il peso della pressione, ovviamente. Ma poi mi sono totalmente perso nel romanzo perché è un libro bellissimo e dopo dicevo a tutti: 'Se non l'avete fatto, dovreste leggere…'. I miei amici rispondevano perplessi: 'Non hai letto questo romanzo?'.
Mi vergogno a dire che non l'avevo letto, ma sono contento di averlo fatto perché nel libro c'erano molti piccoli momenti delicati a cui mi sono appigliato. Anthony scrive magnificamente e una delle ragioni per cui mi avvicino sempre al romanzo se devo fare un adattamento è che potrebbe esserci qualcosa che in un certo senso si "attacca" al mio cervello artistico. E c'erano alcune cose, piccoli passaggi descrittivi che Anthony aveva inserito nel libro che sono stati il mio punto di partenza per progettare alcuni elementi. Per esempio, la casa: c'è una descrizione meravigliosa fatta da Anthony. Descrive la casa come una conchiglia e la scala è la spirale. Quando l'ho letta è stato come un momento di illuminazione e ho pensato: "Ah, ok" e questo è stato il punto di partenza per la mia progettazione della casa. Era quella scala.
Quindi la prima cosa che mi è venuta in mente, e poi ci sono state altre cose, come l'odore di grandezza sbiadita e… A un certo punto viene descritto come un tempio dedicato al periodo di Napoleone II.
La personalità dei protagonisti si riflette anche negli spazi, dalla stanza di Etienne alla cucina di sua sorella, quale è stato il più difficile da 'portare in vita'?
La sfida principale è stata la scala, che è molto presente. E ci sono sempre dei problemi logistici quando si vuole costruire un set che si espande in altezza perché si possano rallentare le riprese, che diventi poco pratico. Quando ho presentato il progetto avevo un set con quattro piani e la reazione è stata di shock, hanno detto 'Cosa?!?'. E io sono stato irremovibile e ho ribadito: "No, vi prometto che questo ispirerà il modo in cui girerete le scene ambientate in casa'. Quella è stata la sfida principale e poi, con i limiti legati all'altezza dello studio si è finito per realizzare due sezioni della casa: quindi avevamo la mansarda, la camera da letto e il bagno su un set con mezza scala e poi c'erano la cucina, il salotto, il corridoio d'ingresso e una scala a tutta altezza per una postazione di ripresa su un altro set.
Le stanze hanno così tanti dettagli, oggetti, decorazioni. Era tutto reale o si è intervenuti in post-produzione con gli effetti speciali?
Tutto ciò che si trova all'interno della casa è completamente reale, ed è stato tutto prevalentemente trovato: si trattava di un misto di elementi noleggiati in tutta Europa e poi un sacco di cose che abbiamo comprato. So che sembra assurdo, ma abbiamo comprato molti mobili su eBay in Francia. Eravamo a Budapest e trovare mobili francesi lì era un po' un problema e avevamo dei contatti meravigliosi, quindi abbiamo usato eBay per molti dei mobili più belli, il che è stato davvero entusiasmante. Per la carta da parati abbiamo utilizzato un'azienda parigina che la produce da centinaia di anni e che ha un archivio di carte da parati che sono state stampate negli anni Venti, all'inizio del secolo.
Questo mi ha permesso di ottenere l'autenticità e poi ho avuto la fortuna di avere dei pittori meravigliosi che sono stati in grado di attribuire agli spazi una patina, un'età e una vernice scrostata per farlo sembrare molto reale. E questo è stato importante anche per Mia Loberti, perché è stata una nuova esperienza presentare quello che faccio, che è molto visivo, a qualcuno che non è del mondo visivo. La consistenza e gli odori sono diventati molto importanti, sono elementi che hanno permesso ad Aria di abitare questo mondo nuovo, nel senso di lavorare nel cinema, ma anche di essere un attrice per la prima volta e di 'abitare gli spazi' come il suo personaggio.
Aria è alla sua prima esperienza, ha avuto qualche richiesta o è stato necessario lavorare con lei in modo differente?
Io e lei abbiamo iniziato a parlare molto presto nelle fasi di sviluppo della serie. Abbiamo avuto una lunga conversazione telefonica in cui abbiamo parlato del processo di lavoro in quell'ambiente e aveva molte domande pratiche sulla vita quotidiana su un set. Abbiamo poi parlato di come la sua esperienza di vita potesse influire sul mio approccio al mondo non visivo.
Quello di cui mi ha parlato è stato maggiormente legato alle sottigliezze di come negoziare uno spazio, come posizionare i mobili, mi ha spiegato il flusso di una persona che non può vedere e il modo in cui ci si relaziona quotidianamente.
È stata una cosa davvero meravigliosa e ha influenzato il mio lavoro, anche come ho descritto le cose. Presentavo le scenografia ad Aria e lei aveva una memoria spaziale incredibile. Prendeva confidenza con l'ambiente e in pochissimo tempo era in grado di abitare quegli spazi, era straordinario da vedere.
La miniserie sfrutta molto bene l'idea di luce e oscurità e si nota anche un'evoluzione di questo elemento nella storia, come hai lavorato con il direttore della fotografia Tobias A. Schliessler?
C'erano delle sfide intrinseche, ovviamente, in particolare credo che Tobias dovesse gestire una situazione che ti porta a chiederti come illuminare uno spazio abitato da qualcuno che non ha bisogno di luce. Quindi si è trattato di trovare modi interessanti per illuminare lo spazio. Io mi sono occupato di cose come, ad esempio, del fatto che nel set della soffitta c'è una grande stufa. Dovevamo trovare una stufa che avesse un'altissima percentuale di vetro intorno, in modo che, quando c'era un fuoco, si otteneva una diffusione della luce.
In questo modo abbiamo trovato il modo di illuminare uno spazio senza che una persona vedente entrasse in una stanza e accendesse una luce. Ma per un pubblico che assiste a una serie, non possiamo avere una stanza senza luce. Poi con le radio, pur essendo autenticamente basate su modelli reali, abbiamo dovuto apportare dei miglioramenti, come inserire delle luci al loro interno per poter illuminare naturalmente il volto di Aria quando la stava usando. E poi si trattava di posizionare le finestre e di averne di più rispetto a quanto probabilmente ce ne sarebbero state in una mansarda di una casa simile, o capire la disposizione delle sedie, in modo che la scrivania fosse in linea con la finestra e cose del genere. Abbiamo tenuto conto di come la luce rimbalza grazie agli specchi e ai vetri...
Le location scelte, visto che si è girato anche a Budapest, hanno creato qualche ostacolo nel ricostruire gli spazi descritti nel romanzo?
Abbiamo girato a Budapet e anche in Francia. Abbiamo usato le strade di Budapest per Parigi ed è stato molto facile perché molti edifici e spazi sono stati ispirati o costruiti dagli stessi architetti che hanno lavorato alla città francese. A Budapest c'è una strada che ricalca molto vagamente gli Champs Elysees, quindi ci sono molti elementi del barocco. Ricreare Parigi è stato molto facile, quello che è stato difficile è stata la Francia rurale.
Abbiamo sempre pianificato di andare a Saint-Malo perché è un punto cruciale del libro e avremmo fatto un torto al libro e alla città se non ci fossimo andati, perché ha delle caratteristiche davvero uniche. Ci sono andato, con una delle produttrici, la prima settimana di lavoro per vederlo ed è un luogo molto speciale, anche se è stato evidente che non sarebbe stato pratico effettuare lì le riprese. È un luogo straordinario, ma è una grande destinazione turistica e durante l'estate, il periodo in cui abbiamo girato, la quantità di turisti e di persone che vi si recavano era molto alta, situazione che rendeva impossibile 'chiudere la città', essendo un periodo che genera molti profitti per la comunità. Abbiamo deciso quindi di fare delle riprese aeree, usare le spiagge e il famoso muro, e poi di migliorare digitalmente le immagini. Abbiamo trovato un bellissimo villaggio nel sud ovest della Francia, Villefranche de Rouere, che ha un'atmosfera molto simile, strade strette, acciottolate, edifici molto alti. Questa città, che è molto speciale, non è sul percorso turistico e ci ha accolto a braccia aperte, ci ha permesso di trasformarla. Ho cambiato le facciate dei negozi, bloccato le strade, abbiamo incendiato macchine. Sono stati tutti così disponibili e amichevoli e siamo stati davvero fortunati perché ci hanno sostenuto così tanto. Saint-Malo nella serie è un misto della città, di Villefranche e della Francia. Per la scena dell'attacco abbiamo inoltre costruito una parte del muro a Budapest.
La sequenza del bombardamento è molto spettacolare, quanto lavoro ha richiesto?
Per i crolli, quindi per le scene in cui le esplosioni avvengono in cantina o nella boulangerie, non abbiamo avuto molti ciak. I tempi sono comunque ristretti e scene di questa portata richiedono molto tempo, di solito sono 2 ciak, molti problemi da valutare e dita incrociate per sperare che tutto funzioni.
Uno degli elementi più importanti della storia è il modellino della città. Quanto tempo avete impiegato per crearlo?
La prima cosa che abbiamo fatto è stata stampare una mappa di Saint-Malo in varie dimensioni, e le abbiamo disposte nel mio ufficio. Poi abbiamo dovuto costruire un tavolo e metterlo sopra, i vari membri del team si sono messi in piedi nella stanza per capire quale sarebbe stata la dimensione giusta. Abbiamo dovuto cercato di capire quale doveva essere la misura giusta per qualcuno che doveva usarlo per capire gli spazi e le misure tastandolo. Ne abbiamo parlato molto, abbiamo realizzato vari modellini… In base alle dimensione del modellino dipendevano le dimensioni del tavolo e da quelle quelle della stanza. Si è partiti da lì e poi, una volta finalizzato il progetto, si è trattato di capire che aspetto avrebbe avuto e la differenza tra il modello di Parigi, che è leggermente più rifinito e curato. E successivamente si è realizzato il modello di Saint-Malo, che è fatto di vecchie botti di vino e cassette per la verdura, e Aria e l'interprete di Marie da giovane hanno poi interagito per familiarizzare con il modello delle città, c'è questa scena meravigliosa con Mark Ruffalo in cui da bambina sta imparando il percorso verso il museo.
Per pura curiosità, dopo le riprese che fine hanno fatto i modelli della città, visto che sono degli oggetti su cui si lavora così tanto?
È da qualche parte in magazzino, credo lo abbiano impacchettato e portato a Los Angeles. Si è trattata di una creazione che mi ha causato, insolitamente, dello stress quando ho dovuto presentarlo ad Anthony, a Shawn e ad Aria. Era molto importante realizzarlo bene e mi sono ritrovato a essere molto nervoso, soprattutto per la presentazione ad Anthony. Avevano poi cancellato per qualche motivo la presentazione e un paio di giorni dopo mi hanno avvisato con pochi minuti di preavviso, quindi ho potuto arrivare a quel momento senza tutta l'ansia della vigilia.
Che tipo di reazione ha avuto Anthony al lavoro compiuto?
Lui è stato gentile e ha fatto molti complimenti ed è stato un sollievo. Ma credo che non sia mai facile per uno scrittore avere qualcosa con cui ha convissuto per tanto tempo e poi trovarsi di fronte alla visione di qualcun altro di quello che hai creato. Non avrei dovuto affatto preoccuparmi: le descrizioni del libro erano così meravigliose che mi hanno dato piccoli spunti su come lui vedeva il mondo, che spero, di essere stato in grado di portare sullo schermo e di dare forza a quello di cui Shawn aveva bisogno sul set, ma al tempo stesso per onorare tutto ciò che Anthony aveva scritto.
Potete trovare tutte le notizie e le curiosità sulla serie nella nostra scheda.