Trap, M. Night Shyamalan spiega perché finanzia i suoi film: "Voglio essere libero, ma non imitatemi"

Durante la promozione di Trap, abbiamo parlato con M. Night Shyamalan e Josh Hartnett di etichette, rapporti sul set e investimenti.

Critico e giornalista cinematografico


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È nelle sale dal 7 agosto Trap, il nuovo film del regista M. Night Shyamalan con Josh Hartnett. Abbiamo incontrato regista e attore per parlare della loro ultima fatica, ancora una volta autofinanziata.

L'etichetta di regista dai grandi colpi di scena

Posso dirti che sono a mio agio con un genere, mi piace usare il thriller per raccontare le mie storie. Mi piace utilizzare il linguaggio della suspense, mi riesce molto naturale e mi sento a mio agio, é un genere che non mi ha stancato per niente. E questo é sicuramente una spetto interessante.

Dicamo che non mi piace quando qualcuno mi definisce in un certo modo e mi viene a dire che io sono solo quella cosa. “Ah, tu sei quello che fa i film horror!”. Davvero? Dici? Non credo, sai. Ed è una delle cose che mi hanno detto l’altro giorno ad esempio, che faccio film horror. Ma, a dire il vero, c’è un aspetto horror [nei miei film], ma c’è anche della commedia, e non per questo vengo definito un regista che fa commedie. Ho questo lato ribelle, che scatta non appena qualcuno cerca di dirmi chi sono e cosa faccio… no! Voglio sentirmi ancora libero di scegliere e, a dire il vero, quando scelgo un nuovo progetto, la scintilla si accende solo se si tratta di qualcosa di nuovo!

Josh Hartnett è poi intervenuto:

Vorrei aggiungere che secondo me, lui é esattamente il tipo opposto di regista rispetto a quello che hai appena menzionato. Prende un sacco di generi diversi e li racconta da un’altra angolazione e così ti ritrovi a guardare ad un genere conosciuto in modo nuovo e fresco. Anche se si tratta di un genere che credi di conoscere. In questo caso, il thriller ma raccontato da una prospettiva diversa, quella dell’antagonista. A questo ci aggiungi tutto il lato musicale, che aggiunge un nuovo sentimento alla narrazione, una cosa che non credo di avere mai visto in un altro film del genere prima.

Il legame padre e figlia

Josh Hartnett: Ariel [Donoghue] è davvero un’attrice straordinaria. È ancora molto giovane, aveva 13 anni quando abbiamo girato il film ma è comunque arrivata sul set molto preparata. Night, poi, è molto bravo a lavorare con il cast più giovane e ha da subito creato un ambiente che la facesse sentire a proprio agio, ha reso tutto molto giocoso per lei. Alla parte del concerto pop, poi, beh, si è divertita davvero moltissimo.

Inoltre sul set c’erano anche la mia famiglia e la sua famiglia, siamo usciti spesso tutti insieme e siamo riusciti ad andare tutti quanti allo zoo ad un certo punto. Tra l’altro, lei non ha a che fare con la parte oscura di questo film per la maggior parte del tempo: è solo una figlia che si diverte ad andare ad un concerto con un padre che si comporta in modo strano per un motivo sconosciuto. E lei è riuscita ad interpretare quella parte magnificamente. Io ,poi, ho delle figlie quindi ho cercato di utilizzare parte di quello che sono come padre con lei, alla fine é venuto tutto molto naturale.

Perché M. Night Shyamalan finanzia i suoi stessi film?

Registi, produttori e attori hanno sempre detto di non mettere mai i propri soldi quando si tratta di fare film. Lo ha fatto Hitchcock, lo ha fatto Coppola, ma nel loro caso si trattava di un solo film ed erano stati praticamente costretti a farlo, perciò la domanda è: le circostanze per realizzare i film che ti piace fare, ti forzano in qualche modo a mettere in prima persona i tuoi soldi?

È interessante il modo in cui ne hai parlato, perché se pensi appunto a casi come Hitchcock con Psyco, o Charlie Chaplin con Il grande dittatore, o a Coppola con Apocalypse Now, le circostanze erano estreme e molto diverse. Nel loro caso le compagnia si rifiutavano di finanziare film che parlavano di argomenti come Hitler, della storia di un assassino o della guerra in Vietnam.

Ma questi registi sentivano il bisogno cosi forte invece di realizzarli che sono comunque andati avanti e hanno rischiato tutti i loro soldi, e alla fine hanno fatto centro, e sono tutti film eccezionali. Ma erano casi estremi e qua non parliamo di questo.

Nel mio caso, totalmente opposto, sono io a non volere i loro soldi, perché, a quel punto, il rapporto cambia in qualche modo. E anche se si tratta di persone fantastiche con cui lavorare e ti offrono i loro soldi e il loro contributo… temo che se dovessi accettare, il rapporto cambierebbe. In questo caso, se ti dico che faremo un film ambientato durante un concerto, che gira attorno alla musica pop che che finirai con l’empatizzare con con l’assassino… non voglio sentirmi dire perché non funzionerà. Invece così ho il loro supporto a prescindere. In questo modo, poi, anche se è una scommessa vera e propria solo per me, non rischio di impigrirmi e andare sul sicuro, rischio ogni volta. Per questo lo faccio, oramai sarà la sesta o settima volta che lo faccio.

E c’è qualcosa di davvero puro in tutto questo, nel realizzare qualcosa che sembra “fatto in casa”, il pubblico percepisce che é “fatto in casa”, non ci sono eterne riunioni per decidere cose come cosa lui debba indossare, ci siamo io, la costumista e Josh, basta.

E se un film dovesse andare male?

Beh, siamo nei guai! Grossi guai, quindi non fatelo a casa! Questa cosa non è consigliabile, per niente, è una follia! Non fatelo!

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