Tiffanny Haddish e Oscar Isaac non avevano capito il copione di Il collezionista di carte

Abbiamo intervistato a Venezia Oscar Isaac e TIffany Haddish protagonisti di Il collezionista di carte di Paul Schrader

Critico e giornalista cinematografico


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È a Venezia con tre produzioni diverse Oscar Isaac (Il collezionista di carte, Dune e la serie Scene da un matrimonio) presentate non a caso una il giorno dopo l’altra per consentirgli con una piccola maratona di attività stampa di partecipare per tutte. La prima in ordine di tempo è Il collezionista di carte, film incredibile che ha portato a termine con Paul Schrader e in cui recita con Tye Sheridan e Tiffany Haddish.

Abbiamo intervistato sia Tiffany Haddish che Oscar Isaac in due roundtable separate che abbiamo messo insieme in questo articolo. Sia per lui che per Tiffany Haddish infatti è stata una prova davvero diversa dal solito, complicatissima, che ha richiesto molta dedizione e che all’inizio entrambi non avevano capito.

TIFFANY HADDISH: “La prima volta che ho letto la sceneggiatura non l’avevo capita. L’ho dovuta rileggere e mi sono detta: “Ho capito, conosco tantissime persone così come questi due protagonisti”. Uno è il tipo arrabbiato che non sai perché ce l’ha con tutti; l’altro è quello controllato e cool, il misterioso che sa quello che fa”.

OSCAR ISAAC: “Non l’avevo capito nemmeno io all’inizio. A livello che non capivo chi è il personaggio proprio. E quando nel leggerlo sono arrivato alla parte in cui porta Kirk nella sua stanza di hotel, ho buttato lo script in terra. Perché no. No! Non lo puoi fare. Ovviamente poi non accade quello che pensavo. Mi ci è voluta una seconda lettura per capire cosa avessi in mano. È una scrittura davvero diversa dal solito, le parole e i dialoghi puntano a livello subconscio, ai pensieri che sono in ballo. C’è qualcosa riguardo il modo in cui Paul costruisce il dialogo che in un qualche modo consente al subconscio di affiorare. Di solito hai A, poi B e poi C, quindi invece devi costantemente tornare indietro e farti delle domande. Un po’ come in Harold Pinter, dove ci sono grandi pause. Quasi esoteriche”.

E alla fine cosa hai capito di questo personaggio?

OI: “Io lo descriverei come un uomo che cammina come una statua di marmo, con grande peso e gravità. Un uomo che ha a che fare con un eccesso di senso di colpa. La battuta che mi è rimasta più impressa è: “Cosa deve fare uno per ricevere l’assoluzione? Per espiare?”.

Hai pensato che era un ruolo in cui potevi dare qualcosa?

OI: “No, non c’è niente di me. Ho visto solo che era una parte per la quale ero in grado di fare quel che serve di fare. C’è un’idea al centro di tutto che è molto interessante, il trauma che viene causato non dalle azioni degli altri, ma da quelle perpetrate da te”.

TH: “Il personaggio è così lontano da me che ho dovuto imparare a non essere così perfida come sono nella realtà ma avere quel carisma lì e stare ferma. Questo me l’ha insegnato Oscar [Isaacs ndr]: stare ferma”.

Ma è stato complicato recitare in un film così diverso dal solito?

TH: “Paul se l’è presa con me perché quando provavamo diceva che io non parlo, canto. Gli ho detto che non è vero, ma nel dirlo mi sono reso conto degli alti e bassi del mio tono. È vero, ho dovuto lavorare sul non essere divertente e non parlare come se cantassi, mantenere questo personaggio con i piedi per terra, reale”.

Il film ha un tono sempre molto coerente e molto simile, nonostante gli intrecci e i capovolgimenti della trama. È stato così anche per voi, o ci sono momenti in cui quel tono è più complicato da tenere?

OI: “Le parti più difficili per me sono state quelle come la parte in macchina con Tye Sheridan, perché lì avevo l’impulso naturale di essere più evidentemente umano. Invece il personaggio è duro, tuttavia non funzionavano nemmeno se ero troppo duro e impenetrabile. E ovviamente poi è stata complicata quella nell’hotel, il confronto con tutti gli attrezzi del mestiere. C’era un’intensità pazzesca e per la prima volta potevo lasciar uscire tutto quello che stavo trattenendo. La bestia”.

TH: “La scena finale è bellissima ma nel giorno in cui l’abbiamo girata eravamo in una fabbrica di cibo per gatti abbandonata. Lì era stato allestito il set. Faceva caldo, c’era una vera puzza, c’erano dei pipistrelli e avevo una parrucca che mi dava fastidio. Ricordo che ci dovevamo sbrigare, che non ce la facevo più. E nel momento in cui sono inquadrate solo le nostre dita, se vedi bene, si muovono, non stanno ferme. Perché siamo partiti a ridere quando mi sono levata la parrucca (tanto era inquadrato il dito).
Forse ho dato troppe informazioni?

Il collezionista di carte è al cinema.

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