The Killer, Erik Messerschmidt dall'Oscar al Lido: "Con David Fincher c'è un linguaggio comune, sul set si perde pochissimo tempo"

Il direttore della fotografia Erik Messerschmidt al Festival di Venezia ci parla del lavoro con David Fincher per The Killer

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Classe 1980, Erik Messerschmidt sta attraversando un momento molto felice della sua carriera. La collaborazione con David Fincher, iniziata come gaffer in Gone Girl - l'Amore Bugiardo e poi come direttore della fotografia in Mindhunter, lo ha portato a ricevere il premio Oscar per Mank, il suo primo film di finzione. Un traguardo importantissimo del quale sente senza dubbio la responsabilità anche qui al Festival di Venezia, dove due film portano la sua firma in fotografia: The Killer, sempre di Fincher, e Ferrari di Michael Mann.

Messerschmidt ha raccolto il testimone del suo mentore Jeff Cronenweth, e con Fincher il sodalizio sembra davvero rodato, forse anche grazie alla sua formazione con un fotografo - Gregory Crewdson - la cui estetica ricorda proprio quella del regista di Denver. E proprio da Crewdson parte la nostra intervista esclusiva.

Uno dei tuoi primi lavori è stato con il fotografo Greg Crewdson, che ha molto in comune in termini di estetica con Fincher. Che tipo di esperienza è stata?

Al momento, ma potrei cambiare idea, il mio tipo di cinema preferito è quello in cui devi creare un ambiente. Amo lavorare a film per i quali devi creare l'ambientazione, la sensazione, l'emozione. Ovviamente uno potrebbe rispondere: ma questo si fa con tutti i film. Tuttavia nel caso di David Fincher, e soprattutto in quello di Gregory Crewdson, si tratta di ambientazioni interamente costruite e perfettamente controllate, con un'enorme attenzione al dettaglio. Non si tratta di un tipo di narrazione che si affida alla spontaneità, a qualcosa di momentaneo. Tutto è studiato. Entrambi questi artisti sono interessati a creare un ambiente fino al minimo dettaglio, con istruzioni estremamente dettagliate. Sono estremamente attratto da questo modo di lavorare. Mi piace che un regista abbia le idee chiarissime sui punti dove vuole piazzare la cinepresa, come vuole illuminare una scena, che estetica vuole proporre, partendo dall'insieme e arrivando alle minuzie. L'approccio di entrambi all'immagine, e la loro estetica, è simile. Penso che entrambi costruiscano dipinti fotografici, è un po' quello che facciamo noi.

Sei a Venezia con due film, The Killer e Ferrari. David Fincher e Michael Mann sono due dei primi registi di Hollywood ad aver abbracciato con convinzione le riprese cinematografiche in digitale. Hai lavorato con entrambi questi registi nello stesso periodo, girando i due film più o meno nello stesso periodo. Che tipo di esperienza è stata passare da uno all'altro?

Una delle grandi gioie dell'essere direttore della fotografia è che metti le mani nel mondo di un altro artista. Non possiamo fare il nostro lavoro senza il regista. E credo davvero che il film sia del regista, noi dobbiamo portare la nostra sensibilità, il nostro punto di vista e le nostre abilità al servizio del regista. Michael Mann è una persona incredibilmente viscerale: è interessato all'ambiente, al dramma. E penso che emerga nei suoi lavori e in particolare nel loro stile. Come direttore della fotografia, ti avvicini a un nuovo lavoro con la tua esperienza pregressa, hai delle aspettative su come andrebbero fatte le cose, su come dovrebbero andare le cose... E alla fine è sempre diverso. È una cosa che a me piace. La mia collaborazione con Michael è stata completamente diversa da quella con David: porti i tuoi ingredienti in una ricetta sul fuoco, e il risultato è il film.

Parliamo di The Killer. Nel film c'è una quantità enorme di inquadrature, sono tantissime: in alcune sequenze ce n'è una vera e propria raffica. E so che questo aspetto è legato anche al montaggio, ma penso che abbiate anche dovuto realizzare molti setup. Ho letto che le riprese sono durate meno di tre mesi... Come avete gestito tutto questo? Soprattutto perché sappiamo che Fincher gira moltissimi ciak per ogni inquadratura...

Tantissima preproduzione. Abbiamo pianificato tantissimo, e così alla fine eravamo molto preparati su come avremmo realizzato il film. Sul set di un film la cosa che prende più tempo è sempre il prendere decisioni. Se riusciamo a eliminare il più possibile questo spreco di tempo perché abbiamo pianificato tutto e perché abbiamo una sensibilità in comune, allora avremo più tempo per girare più inquadrature. Quindi abbiamo fatto molto scouting delle location insieme, discutendo tutto nel minimo dettaglio anche con il montatore, stabilendo dove girare le scene, come girarle, quante inquadrature erano necessarie, dove piazzare le cineprese, quando potevamo usare un setup multicamera (con più cineprese in contemporanea, ndt)... E abbiamo fatto una lista: questo, questo, questo. A quel punto abbiamo deciso l'ordine e il calendario per girare tutto nella maniera più efficiente, e abbiamo calcolato tutto matematicamente. A quel punto abbiamo lavorato molto più rapidamente.

Siete riusciti a girare molte scene in multicamera?

Sì, buona parte del film è girata con due cineprese.

Ah! Beh immagino che l'illuminazione per una scena in multicamera sia più complessa...

È molto più complessa, sì, ma si riduce tutto a quello che dicevo prima: programmazione. Anche in Mank avevamo usato due cineprese, ma meno spesso. Io e David Fincher lavoriamo sempre con il multicamera, quando possibile.

E avete coinvolto molto il montatore nella progettazione delle scene?

Assolutamente sì. Penso che la fotografia sia più legata al montaggio rispetto a quanto si aspetta la gente. Quando David fa un film è molto preciso sul modo in cui vuole utilizzare la cinepresa: è uno dei protagonisti del film. È molto concentrato sul punto di vista del pubblico, quando sei nella testa del personaggio e guardi il mondo... Non abbiamo fatto storyboard, ma abbiamo discusso moltissimo sul modo di utilizzare la cinepresa e dove piazzarla. Quando entriamo in una stanza, finiamo spesso entrambi nello stesso punto, ci guardiamo e diciamo: ovviamente inquadriamo da qui, giusto? Abbiamo sviluppato, negli anni, un linguaggio comune che ci permette di essere molto rapidi nelle decisioni e perdere pochissimo tempo sul set.

Mi è sembrato che nel film ci fosse un'unica sequenza con la camera a mano, e cioè il combattimento corpo a corpo. L'avete realizzata così?

A noi piaceva l'idea che il Killer fosse un personaggio che ha sempre un piano in mente. Non fa mai un errore, la sua vita è assolutamente precisa e sotto controllo. Quindi il film è incentrato sulla procedura e sulla precisione necessaria perché una procedura sia efficace. Quando questa procedura non funziona, quando avviene l'errore, lui rimane totalmente sorpreso. David voleva che questi fossero i momenti in cui rompevamo la precisione nell'inquadratura, in cui la composizione formale classica cambiava. Ma in realtà in tutto il film non c'è neanche un momento di camera a mano! L'effetto è tutto reso in post-produzione. Abbiamo girato l'intero film in maniera formale, perché volevamo essere assolutamente precisi nella gestione del movimento, quando c'era. Ci sono dei momenti nel film in cui c'è del movimento, e poi si interrompe bruscamente. Serviva controllo, per fare questa cosa. È tutto realizzato con il dolly tradizionale, il movimento è stato poi fatto in postproduzione.

Molte scene nel film sono ambientate di notte, o di sera, o comunque in un contesto piuttosto buio. Sappiamo bene che, in particolare negli ultimi anni, questo tipo di scene risultano molto poco realistiche in termini di illuminazione. Questo genere di scene si vedono al meglio al cinema, non su uno schermo televisivo in pieno giorno. Cosa pensi del fatto che la maggior parte del pubblico vedrà questo film su uno schermo che non è cinematografico? Avete preso in considerazione questo fatto quando avete riflettuto sull'estetica e la fotografia?

Penso che entrambi trattiamo l'esperienza cinematografica e televisiva alla stessa stregua. La cosa importante, almeno per me, è che il pubblico veda il film. Non ho mai visto Star Wars sul grande schermo prima dei vent'anni. Ed è uno dei film che mi hanno fatto innamorare del cinema, ma prima di allora lo vidi innumerevoli volte su una VHS che aveva l'aspect ratio sbagliato. Ovviamente vogliamo che il pubblico apprezzi il nostro film sul grande schermo, al cinema. Penso che il cinema sia un'esperienza condivisa, apprezzare il film circondati dall'energia di un gruppo di persone. Ma non penso che sia più il miglior modo per apprezzare la qualità dell'immagine. Non per forza, almeno. E noi abbiamo lavorato al meglio perché il pubblico possa apprezzare questo film anche sulla televisione di casa. Penso che sia un ottimo modo per apprezzare il film, basta non vederlo in una stanza luminosa.

Netflix, comunque, ora equivale a una sorta di standard globale: praticamente, voi potete contare sul fatto che The Killer verrà visto in tutto il mondo sullo stesso tipo di piattaforma, con lo stesso aspect ratio, più o meno.

Assolutamente sì! Con Netflix ho avuto più esperienze positive, in termini di coerenza nella resa dell'immagine, che in molti cinema nordamericani. Io penso che, se il pubblico vuole apprezzare il film nella maniera in cui è stato concepito visivamente, abbia più possibilità di farlo vedendolo su un dispositivo anziché al cinema. Ovviamente parlo del modo in cui funziona questa tecnologia.

Fincher è molto attento agli avanzamenti tecnologici, avete testato qualche nuova tecnologia in termini di riprese per The Killer?

Assolutamente sì. Abbiamo girato con delle nuove cineprese, le RED Raptor. Ci hanno dato i primi prototipi. David vuole sempre esplorare le novità per assicurarsi che la resa sia migliore e la lavorazione più efficiente. Inoltre abbiamo utilizzato tantissima illuminazione LED.

La prima scena a Parigi, con il Killer appostato per fare il suo agguato, è stata realizzata con l'utilizzo di CGI o sfondi proiettati su ledwall?

Quella è CGI, o meglio una combinazione di vari plate. Il Killer è girato in teatro di posa, con un blue screen fuori dalla finestra. Poi le immagini del palazzo che lui guarda sono girate a Parigi e sovraimposte in post-produzione. Invece l'interno della casa della vittima è stata realizzata separatamente e aggiunta in post-produzione: una scena molto complessa. L'obiettivo era realizzare delle immagini molto nitide, molto allineate e precise. Difficile trovare qualcosa di così dritto a Parigi!

Hai vinto un Oscar per Mank, il tuo primo film di finzione. Molti direttori della fotografia ci mettono moltissimi anni a raggiungere questo traguardo. L'Oscar è uno dei grandi obiettivi per qualcuno che lavora nella tua industria: l'hai vissuta come responsabilità? Come si rifletterà sul tuo percorso, sulla tua carriera, aver tagliato questo traguardo così in fretta?

È un onore enorme, ovviamente, vedere il tuo lavoro riconosciuto dall'industria. Sono felicissimo che il film sia piaciuto al pubblico, ed è questo l'importante: che il film sia stato visto e apprezzato. Come direttore della fotografia, il tuo lavoro è quello di lavorare per rendere la visione del regista più completa. Siamo collaboratori, ma il film è del regista, ne sono fermamente convinto. Per me è una cosa molto importante. Ed è vero, sento molta pressione, si fanno paragoni con i miei nuovi film, e ora sono molto più riconoscibile. Ma cerco di concentrarmi sul mio prossimo progetto e su come posso aiutare a realizzarlo, sperando che venga apprezzato nuovamente. Quello che è certo è che non lavoro per i premi.

Stiamo vedendo molti film, alla Mostra di Venezia, girati in bianco e nero: Maestro, Povere creature!, Die Theorie von allem... E Mank è stato realizzato in bianco e nero. Pensi che sia stato una sorta di apripista?

Sicuramente il bianco e nero di Mank ha attirato molto l'attenzione. Quando lo abbiamo fatto, inizialmente avevo molta paura, temevo fosse un errore e che avessimo preso la decisione sbagliata. Pensavo di avere una grande responsabilità, visto il soggetto del film. Ma se questo ha spianato la strada a un ritorno del bianco e nero, ne sarò più che felice, perché è un bellissimo modo di girare una storia. È una delle mie cose preferite al cinema.

The Killer uscirà al cinema a ottobre e su Netflix il 10 novembre. Trovate tutte le informazioni nella nostra scheda.

Foto di copertina: Matteo Suman

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