[TFF34] Andrea Molaioli tra Tony Hawk, Hornby e l'indie rock di Slam - Tutto Per Una Ragazza
L'impresa di fare un teen movie adattando un autore straniero, per un pubblico che forse il cinema italiano non ha più. Slam dalla voce di Andrea Molaioli
Sebbene diversissimi quanto a linguaggio, messa in scena e svolgimento (basti dire che Piuma cerca e trova il comico, mentre Slam è una commedia con una complessità di linguaggio più sottile) i due film sono indubbiamente simili.
Ma la sorpresa più grande è quanto Slam riesca, almeno nella sua prima parte quando il centro è sulla storia tra Sam e Alice, ad essere uno dei migliori teen movie italiani degli ultimi anni, tutto amori ingenui, sesso bramato, skate e Tony Hawk e proprio a proposito di questo...
“No” [ride ndr]
“Eh infatti se guardi nei titoli di coda c’è anche scritto “con la voce di Tony Hawk”, l’avessimo avuto avremmo scritto che ce l’avevamo proprio! Ma ti dirò che fin dall’inizio era scritto pensando anche che potesse non essere lui, quella è un’apparizione e nemmeno il protagonista è sicuro di averlo visto, deve essere così come è parso a te, che non sai se sia lui o non sia lui. Abbiamo tentato di averlo anche per le riprese ma è particolarmente impegnato nonostante la sua curiosa pensione. Non fa più gare ma molte esibizioni e non più di qualche mese fa ha inventato un nuovo trick. Ma non disegnandolo o immaginandolo eh, facendolo proprio! E’ in forma strepitosa”.
Nel libro il protagonista alle volte si sveglia qualche mese o qualche anno nel futuro e questo c’è anche nel film ma per qualche ragione è la componente forse più debole del racconto, come l’avevate immaginato?
“Il punto è che spesso i ragazzi hanno un carico forte di ansia o aspettative verso il futuro, il timore nel presente che la prospettiva futura sia quella che vedono intorno a loro, cioè gli adulti, allora essere catapultato di colpo dentro al timore di aver messo incinta una ragazza e vedere che vita ci sia ci pareva forte. Soprattutto volevamo un meccanismo che non fosse sognante ma concreto, perché racconta bene l’inadeguatezza del pensarsi nel futuro trovandocisi effettivamente. Dall’altro offriva anche la possibilità di un racconto leggero, dato dalla goffaggine di trovarsi nel futuro senza sapere niente di quel che è accaduto. Questo processo non potevamo produrlo senza il meccanismo di spostamento nel tempo”.
Che hai pensato quando hai visto Piuma?
“In realtà non l’ho ancora visto ma quando ho saputo che esisteva questo progetto ed era in fase di realizzazione ho pensato la stessa cosa che probabilmente hanno pensato anche loro al sapere del nostro: “Mannaggia!”, perché magari per decenni non si racconta nulla di simile e poi più lavori si incontrano negli stessi mesi, è una coincidenza particolare. Ma mi dicono che comunque è diverso da Slam”.
Sì molto, ma l’essenza della trama e quindi quel che se ne può capire da cartelloni o trailer è molto simile...
“Eh esatto il problema è quello. Capisco che quando devi fare una comunicazione essenziale su quello che sei le analogie sono forti, perché non c’è modo di spiegare anche come l’hai fatto ma solo quello di cui parli”.
Secondo te chi è il pubblico del film?
“In teoria i ragazzi dell’età dei protagonisti, poi chi ha abbandonato da poco quella fase e i genitori con ragazzi in quell’età, il che copre un range molto ampio perché dipende da quando hanno figliato”.
Eh te lo auguro che sia così ampio, ma voi per chi scrivevate?
“Io me lo chiedo spesso, il punto è che c’è tutto un pubblico che non ha fiducia nel cinema italiano e ha la sensazione che dietro ad un prodotto italiano ci sia l’approssimazione o la cialtroneria. Soprattutto i più giovani poi si sono catapultati nella serialità che va dal dozzinale all’eccezionale ma di certo è più comoda del cinema. Questi interrogativi uno se li pone ma quando provi a sviluppare una sceneggiatura ed immaginare un film, io personalmente non cerco soluzioni per un certo pubblico ma solo quelle che mi paiono oneste e giuste per me.
Solo una volta trovate provo ad immaginare questo prodotto a chi possa piacere”.
C’è un lavoro particolare sulla musica. Solitamente i teen movie fanno scelte particolari e nette ma qui si oscilla tra generi e stili diversi. Quanto ci hai lavorato?
“Abbastanza. Qualcosa lo preparo prima e altro lo scelgo durante la lavorazione fino a fare una mia playlist del film. Da questa playlist non è detto che prenda tutto, spesso è musica che ascolto per entrare in quella dimensione che cerco di riportare nel film, una guida emotiva che tengo per me. Da un lato schiacciarsi fortemente sulla contemporaneità mi sembrava che chiudesse il racconto e definisse in modo troppo forte quel che non volevo definire, non volevo “la musica dei ragazzi” perché quelli che raccontavo potevano essere portatori di un certo tipo di musica? E se si quale? Nel mondo skater c’è molto rock duro e molto hip hop ad esempio, così ho preferito musica indie che non fosse legata al presente, il sound indie rock classico come lo conosciamo dalla metà degli anni ‘90 ad oggi. Poi ci sono anche incursioni di altro tipo. Il fatto di mettere Buddy Holly quando lui è nell’angoscia di incontrare Alice che pensa gli dirà che è rimasta incinta mi sembrava forte, specie con il brano Raining in my heart che fornisce un ulteriore livello di narrazione. Ma anche mettere gli Eels quando Sam scappa, perché cantando dicono qualcosa di relativo al film, cioè il testo della canzone aderisce a quel che raccontiamo. Molti poi sentono distrattamente il testo delle canzoni ma c’era una volontà di usare dei pezzi che avessero al proprio interno qualcosa che avesse a che fare con il racconto”.