TFF 38 - Il regista di Gunda voleva metterci un po' di musica ma poi "No, mi sono detto che è contro le regole"
Come ha fatto Viktor Kosakovskiy a dribblare i soliti documentari e creare con Gunda qualcosa di completamente diverso a partire dalle immagini
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Ora il film è al Torino Film Festival (online) e abbiamo potuto incontrare il regista per capire esattamente come abbia fatto ad ottenere questo risultato da un’idea che pareva perdente all’inizio e invece forse sarà il caso cinematografico dell’anno.
“Considera che io ho sempre voluto fare un film senza musica e senza voce. Ci ho provato varie volte ma alla fine mi hanno sempre convinto a metterci la musica per dare emotività, e mi è sempre dispiaciuto non essere riuscito a farcela. Volevo raggiungere qualcosa di puramente cinematografico, solo immagini. Per come la vedo io il cinema migliore è quello che ti fa vedere qualcosa che non vuoi vedere o che hai deciso di non vedere.
Quanto al bianco e nero è stata una delle prime idee. Avevamo capito che filmare a colori genera belle immagini e basta, invece il bianco e nero crea immagini particolari che hanno personalità. Già quando fotografavo Gunda in bianco e nero capivo che era possibile vedere i suoi occhi, mentre a colori no, il fuoco lo prendeva tutto il resto dell’immagine. E poi è stato un omaggio al vero cinema, quello degli inizi, pensa che per arrivare a 1 ora e mezza abbiamo filmato pochissimo, un totale di 6 ore di girato, come quando si usava il 35mm”.
Beh qui è riuscito a non usare mai la musica no?
“Spero di sì. Pensa che alla fine, nel gran finale di Gunda volevo ad un certo punto metterci una musica forte, per far piangere, ma mi sono detto “No è contro le regole” e quindi niente”.
Qual era lo stimolo che l’ha spinta verso un film simile?
“Ho sempre pensato sia facile fare film su quel che capisci e per questo non dovresti farli. Qui invece c’è qualcosa che proprio non capisco: perché viviamo in questo dualismo per il quale parliamo tutti da almeno 10 anni di riscaldamento globale e cambiamenti climatici e poi cosa facciamo? Ammazziamo animali e li mangiamo. È assurdo. La prima cosa è smettere di mangiare carne”.
Come ha fatto a filmare così da vicino gli animali, addirittura con movimenti di macchina, senza che scappassero o si spaventassero?
“Tanti stratagemmi diversi. Ad esempio ho disegnato la sagoma di una mucca e ho messo la camera dentro, nascosta, ma ho anche usato luci particolari per non disturbare.
Per le riprese dentro la casetta di Gunda volevo raggiungere un mio ricordo d’infanzia. In Russia i tetti delle costruzioni in cui stanno i maiali sono pieni di buchi da cui passano piccoli tagli di luce, che è bellissimo. Per ricrearlo ho preso una palla di quelle che si usano nelle discoteche, stroboscopica, e gli ho puntato su una luce sola, questo ha creato le gocce di luce che si vedono.
Invece per i polli e le galline ci venivano così vicini perché non avevano mai visto l’uomo. Erano animali stati per tutta la loro vita in gabbia, quella che vedi è la prima volta che escono all’aria aperta. Toccano la terra per la prima volta e sembrano scottarsi come fosse bollente, guardano il cielo e non sanno cosa sia. Quindi non temevano nemmeno la videocamera”.
Non è un peccato che il pubblico non sappia che quel che sta vedendo sono polli che non hanno mai lasciato una gabbia prima? Il rigore che si è imposto non ci leva qualcosa?
“Non credo che non si capisca che non è mai uscito nel mondo reale. Sai per tutta la vita ho avuto questo dubbio: “Spiegare o no? Farla facile per il pubblico o no?” e la vita mi ha dimostrato che non devo spiegare. Per me è importante che tu ricordi l’immagine, se invece sai perché quell’animale si sta muovendo in quella maniera, perché si guardi in giro così non è indimenticabile al medesimo modo”.
Lo stesso avete raggiunto dei movimenti di macchina a livello terra…
“Sì, ho notato che se metti la camera abbastanza bassa puoi vedere come il pollo pensa. Abbiamo fatto di tutto per riuscire ad avere l’obiettivo più in basso possibile, sotto i loro occhi. Solo così vedi che non è un animale stupido”.
È cruciale nel film il momento del parto, come l’avete beccato?
“Ci eravamo documentati così tanto da sapere che sarebbe accaduto quella notte e non siamo andati a dormire. I maialini ci hanno annusato subito e quindi non avevano paura di noi, eravamo parte della famiglia”.
Ci è voluto molto per trovare il maiale giusto?
“Avevo pianificato 6 mesi di ricerche e invece l’ho trovato al primo colpo. Il primo maiale nella prima fattoria visitata. L’ho guardata negli occhi e ho capito che era la Meryl Streep dei maiali, perché come Meryl Streep non ha bisogno di parlare per farti capire cosa gli passa per la testa”.
Anche per la mucca?
“Quella che vedi non è una mucca di fattoria, è una mucca che vive in un santuario, posti gestiti da persone che amano gli animali e non li ammazzano. Normalmente una vacca vive 3-4 anni, 1 anno se è cresciuta per il macello, questa aveva 30 anni e lo vedi. Il suo sguardo ha una storia dietro”.