[TFF 2013] Il documentario più estremo e inclassificabile del TFF 2013 è italiano

Intervista a Roberto Minervini regista di uno dei film più sorprendenti del Festival di Torino, l’osservazione micidiale per profondità e partecipazione di una realtà assurda...

 

Critico e giornalista cinematografico


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Al Torino Film Festival, tra esordi e ottimi film provenienti dai maggiori festival internazionali, c’era uno straordinario film italiano di difficilissima categorizzazione ma facilissima compresione. Stop the pounding heart, già passato a Cannes nella selezione ufficiale, è una vera scoperta e per questo abbiamo incontrato il suo autore, Roberto Minervini italiano dall’accento americano, che vive in Texas e lì studia i suoi film.

Dimesso, interessato e molto provato dalla lavorazione di un film che lo ha obbligato ad assistere a moltissime cose non semplici, alcune delle quali ha anche scelto di non inserire nel suo documentario/film di finzione tra i più coinvolgenti dell’anno.

Stop the pounding heart guarda due famiglie del profondo Texas, nuclei molto bigotti e molto attaccati ad uno stile di vita lontanissimo dai più moderni, condizionato dalla religione a livelli profondi.

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Questo film è stato possibile solo per la maniera in cui io sono stato sempre molto aperto e sincero con le due famiglia coinvolte, per il rapporto che ho instaurato con loro (due delle loro figlie fanno da baby sitter alle mie).

Non avevi pregiudizi di fronte alle loro posizioni?

Certo che si è stata tutta un'altalena di emozioni e pregiudizi, per questo ho capito che andava fatto il film, per confermarli o abbatterli. Per questo mettere da parte il mio background ideologico e culturale è stata la cosa più importante.

Per me il loro modo di vivere, molto fisico e molto d'urto, a petto nudo e questa forza maschile molto presente, era come un specchio della mia infanzia nelle Marche, dove l'ostentazione della forza maschile esisteva. Certo non avevamo le armi...

C’è qualcosa che non hai potuto inserire?

Ci sono dei momenti che non incluso nel montaggio finale perchè troppo forti. Ho evitato delle scene che ci avrebbero indotto ad un facile giudizio nei confronti delle famiglie, scene delicate dal punto di vista ideologico. E poi sia in fase di riprese che di montaggio ho sempre cercato la loro approvazione, sono ragazzi molto giovani e si sono aperti, magari anche troppo, per incuria e non volevo che fossero tacciati di fondamentalismo politico.

Vivere lì come un documentarista ed essere pronto a riprende ogni cosa senza metterla in dubbio ti ha messo alla prova?

Per farlo ho scelto di mettere da parte le mie emozioni e trovare una valvola di sfogo in altri luoghi magari a casa (piangendo o dormendo) ma dovevo essere sempre presente con una mentaltà aperta. L'inevitabile confronto tra il loro modo di vivere e il nostro è avvenuto costantemente.

Nei momenti più sentimentali sono spesso rimasto dietro le quinte, spesso me ne sono andato dal set, lasciando miei collaboratori  a riprendere, perchè sfidavano il mio senso di tolleranza e accettazione. Magari mi assentavo anche per un paio di giorni, alle volte semplicemente non era facile. E non ho mai rivisto il girato perchè avrebbe causato un vortice di emozioni troppo forti.

Loro come ti vedevano secondo te?

Entrambe le famiglie le conosco da 5 anni, mi sono sempre presentato con le mie idee, le famiglie sanno dei miei trascorsi, sanno anche che mio nonno lo chiamavano Soviet, dunque... I fattori hanno avuto molto fiducia in me e così i cowboy, siamo stati sempre molto aperti e così mi hanno accettato per quello che sono. Fare questo film con dei segreti non sarebbe stato possibile. Non gli potevo nascondere nulla.

Stop the pounding heart ha a che fare con temi di integralismo cristiano come pensi possa essere ricevuto in Italia?

Credo che il film sia uno specchio onesto di quella realtà. Riguardo il loro modo di vivere immagino ci sia una spaccatura nelle valutazioni possibili del pubblico italiano. Il 90% degli italiani cattolici dovrebbero liberarsi del pregiudizio su chi segue la bibbia alla lettera. La loro società è autoctona e seguono la bibbia alla lettera e c'è un'onestà encomiabile, per me è una grande lezioni di tolleranza. Essere intolleranti contro una minoranza spirituale, religiosa o culturale è pericoloso tanto quanto i fondamentalismi religiosi. Quindi quel mi hanno insegnato è la tolleranza con cui mi hanno accettato.

Tu lo vedi più come un film o come un documentario?

Io lo descriverei come un documentario anche se per molti versi ha il linguaggio del cinema. Perchè in ogni doc c'è untensione tra realtà e rappresentazione della realtà, io non sono un documentarista dunque mi piace la forma di fiction, per questo ho usato parte del materiale documentaristico per creare una storia che lasciasse adito proprio a questo tipo di dubbi, giocare tra realtà e finzione. Però io non ho mai forzato nulla, la forzatura è avvenuta solo in fase di montaggio. Uso più i silenzi che sono riuscito a carpire più che i dialoghi che vengono dopo questi silenzi.

Stai lavorando a qualcos’altro già?

Ora mi sposto nella Louisiana, e anche lì sto trattando temi altrettanto duri, le difficoltà di una comunità della Louisiana del nord, un luogo con disoccupazine al 60% in cui si produce metanfetamina e tutti la consumano, un ghetto dei bianchi dimenticati e abbandonati a se stessi. Ho fatto due giorni di riprese e già ho trovato una spogliarellista incinta di 8mesi che prima di spogliarsi si è fatta nel bagno.

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