Tatai Lab, Shuricat: Intervista a Sara Rossi e Francesco Vacca
Abbiamo intervistato per voi Sara Rossi e Francesco Vacca, gli autori di Shuricat
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Abbiamo intervistato la coppia di autori per scoprire qualche retroscena sulla realizzazione di questo fumetto ambientato in un Giappone feudale popolato da animali antropomorfi.
Ciao, Sara! Questo è il tuo volume d’esordio: per presentarti ai nostri lettori ci puoi raccontare quali sono i fumetti o le opere che hanno formato il tuo stile?
Rossi - Ho avuto una fase in cui ero fidatissima con il manga e lo stile di disegno orientale, anche se oggi mi sono spostata più verso il Fumetto europeo, con un tratto pop. Però mi è rimasta la passione per il Giappone, e lavorare a “Shuricat” è stato bello anche per questo. Sono addirittura andata a Kyoto per raccogliere la documentazione per le ambientazioni e ho avuto l’opportunità di vedere con i miei occhi una città così affascinante.Scorrendo i tuoi disegni online notiamo che sei un’artista che solitamente disegna umani, e che fino a poco fa nelle tue illustrazioni non si vedevano molti animali antropomorfi. Come ti sei preparata a “Shuricat”? Avevi opere di riferimento?
Rossi - In effetti è stata la mia prima esperienza, è stato difficile fare un intero fumetto con qualcosa al di fuori della mia comfort zone. Le zampette da gatto si sono evolute dai primissimi concept, sono state l’elemento che mi ha messo più in difficoltà.Da piccola adoravo “Dragon Ball”, soprattutto la prima fase del fumetto, nella quale ci sono un sacco di animali antropomorfi. Direi che mi sono ispirata a quello stile “cicciottoso” che aveva Toriyama agli esordi, mi è piaciuto molto utilizzare un tratto che assomigliasse al suo.
In “Shuricat" c’è una ricostruzione molto accurata del Giappone feudale. Francesco, ci sono state opere, film o fumetti, che ti hanno aiutato a costruire questo universo narrativo in modo così accurato?
Vacca - Al di là dei film che ho visto, mi sono documentato soprattutto con due saggi storici, uno sulla Storia del Giappone e uno sui samurai. Proprio perché parliamo di animali antropomorfi e Fumetto umoristico, non c’era l’esigenza di essere storicamente accurati, ma la volontà di costruire un mondo verosimile.
Rossi - Dal punto di vista grafico, “La città incantata” è stato un grande spunto per le architetture. Anche se l’ambientazione del film è diversa da quella di “Shuricat", l’atmosfera è molto simile. Il fatto che ci siano tante lanternine, stradine e casette particolari viene dai film dello Studio Ghibli, anche se poi ho cercato di diversificarle, quindi il risultato non è uguale all’effettivo Giappone del passato.
Parlando di samurai e antropomorfi, non si può non parlare di “Usagi Yojimbo”, di Stan Sakai: “Shuricat” è un fumetto completamente diverso, ma in qualche modo vi ha ispirati?
Vacca - Lo conosco, l’ho letto e ho anche pensato a quanto teoricamente potesse essere vicino a questo progetto. Proprio per questo è stato scartato da subito: l’abbiamo messo da parte e abbiamo preso una strada che potessimo considerare più nostra. Poi, ovviamente, ci possono essere dei punti in comune, ma non penso siano prodotti assimilabili.
Un aspetto che mi ha colpito sono stati i nomi dei personaggi, che non sembrano affatto frutto di scelte banali. Come sono stati assegnati?
Vacca - Ogni nome ha un significato, ne abbiamo discusso assieme per trovare una parola in giapponese che avesse un riferimento al carattere o a una particolarità di quel determinato personaggio.
Solitamente, gli animali antropomorfi si comportano come gli esseri umani. In questo caso, invece, abbiamo scene in cui i protagonisti corrono a quattro zampe sfruttando la natura del proprio corpo, oppure affiorano alcuni atteggiamenti tipici dei gatti. Come hai gestito l’equilibrio tra animale e uomo?
Vacca - Non ricordo chi avesse realizzato un grafico con la teorizzazione dei vari tipi di animale antropomorfo. C’è l’animale puro nei cartoni animati e nei fumetti, che è un animale, non ha nulla di umano. Poi ci sono gli animali che pensano in termini umani, come Malachia (il gatto di Paperino), e quelli che parlano ma sanno di essere animali, tipo Cip e Ciop o i personaggi della Warner Bros. Poi c’è l’estremo opposto, i personaggi Disney: Topolino e Zio Paperone... a tutti gli effetti esseri umani ma con un aspetto differente.
Con “Shuricat” ci troviamo in un territorio di mezzo, perché i personaggi si comportano da esseri umani, però sanno di essere animali di specie differenti. Hanno intelligenza e modalità d’interazione umane, pur essendo specie a sé stante. Il fatto stesso che i gatti siano ninja e i cani samurai fa sì che ci sia dell’attrito. Non è solo una questione di appartenenza sociale, ma anche di etnia.
La mia scena preferita avviene nel climax, quando “rompete” graficamente i confini del fumetto. Mi è sembrata la sequenza in cui c’è più collaborazione tra sceneggiatore e disegnatrice, che in qualche modo decidono di infrangere le regole del medium rispettate fino a quel momento. Com’è nata quella scena che spicca così tanto sulle altre?
Vacca - Se non sbaglio, ci siamo detti che volevamo fare qualcosa di diverso…
Rossi - Tu avevi avuto l’idea per quella sequenza di vignette, che ha uno stile quasi cinematografico. Poi mentre facevo le matite, senza nemmeno parlarne con lui, ho buttato giù l’idea e mi è venuta l’idea di rompere lo schema. Gliel’ho fatto vedere e andava bene a entrambi.
Il worldbuilding di “Shuricat”, proprio per la documentazione di cui parlavamo prima, è così accurato che risulta “sprecato” per un solo volume. C’è un mondo pronto che potrebbe essere esplorato ancora. Ci avete già pensato?
Vacca - "Shuricat" nasce come autoconclusivo. Ammetto però di avere già in mente una traccia, e le tavole finali del volume in qualche modo preparano il terreno per un sequel. Sarebbe bello poter tornare a lavorarci.
A proposito di possibili espansioni di “Shuricat”: abbiamo visto sulla pagina di Tatai Lab un’animazione realizzata da Sara. Sappiamo che stai studiando in una scuola di animazione: il volume a fumetti potrebbe essere una sorta di pitch da consegnare a dei produttori per sviluppare questo universo in un altro medium?
Rossi - A me piacerebbe tantissimo. I diritti appartengono a Tatai, quindi questa proposta, nel caso, dovrebbe partire da loro, io potrei soltanto spingere il progetto con entusiasmo! Probabilmente sono di parte, ma secondo me sarebbe adatto per diventare una piccola serie animata. C’è da dire, però, che in Italia il mondo dell’animazione è molto limitato...
Su cosa siete al lavoro ora? Dove potremo vedervi dopo “Shuricat”?
Vacca - Ho sceneggiato una delle nuove storie di “Wondercity”, in arrivo in autunno, e ci sono altri due progetti a cui sto lavorando, ma non sono ancora stati annunciati.
Rossi - Io al momento non ho altri progetti in corso, perché voglio concentrarmi sulla scuola di animazione. In cantiere non c’è nulla, ma se ci fossero altri lavori per Tatai sarei disponibile. Non si sa mai.
Consigli per gli acquisti ai nostri lettori: qual è l’ultimo fumetto letto che vi ha conquistato?
Vacca - Non è proprio degli ultimi mesi ma consiglio “Mercurio Loi”, tutta la serie. Poi ho finalmente recuperato “Capire, fare e reinventare il Fumetto", di Scott McCloud: è qualcosa che tutti gli addetti ai lavori - ma non solo, tutti gli appassionati - dovrebbero leggere. Poi “Descender”, edito da BAO: bello bello bello. E a sorpresa, giocoso, sotto Natale ho letto “Klaus”. Che carino!
Rossi - L’ultimo che mi ha colpito veramente tanto - non lo dico perché faccio parte della stessa casa editrice - è “Green Hell”: veramente bello.