Steve Conrad ci racconta Patriot: "Se metti insieme degli uomini romperanno qualcosa prima o poi"

Alla Berlinale abbiamo intervistato Steve Conrad, creatore di Patriot, la serie in arrivo su Amazon Prime Video

Critico e giornalista cinematografico


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Dopo circa 13 anni nel settore è il momento per Steve Conrad del riconoscimento che merita. Sceneggiatore con all’attivo sceneggiature come quella di La Ricerca Della Felicità o I Sogni Segreti Di Walter Mitty, ha partecipato per gli Amazon Studios al round di pilot del 2015 con Patriot. La serie è stata votata dagli utenti di Amazon Prime, ha avuto la luce verde e il 24 Febbraio va online tutta insieme su Amazon Prime Video.

Abbiamo visto le prime due puntate ed è un oggetto strano, divertente e interessantissimo, almeno quanto chi l’ha fatta, che a Berlino (dove la serie è stata presentata in anteprima) era arrivato assieme al cast per l’attività stampa.

Patriot è una serie di spionaggio comica, un ibrido che si presenta con una canzone folk cantata dal protagonista, un agente della CIA, di ritorno da una missione ad alto rischio.

Che idea è questa di un agente che è un cantante folk e nelle sue canzoni, siccome è molto onesto e sincero con la musica, spiattella tutto?

“Se c’era una cosa che sapevo è che nel mondo delle serie ti servono qualità incredibili per distinguerti dagli altri. Inoltre mi piace molto la musica e il fatto che sia un altro modo per dire quel che hai da dire, unendo questo ho creato un personaggio che per lavoro deve mantenere grande segretezza ma poi ha un’inclinazione verso una forma d'arte in cui è importante essere onesti. La domanda è: tutto ciò ti rende più umano? Patriot se lo chiede, si chiede cioè come possiamo essere davvero noi e quanto sia duro diventare ciò che desideri”.

Ogni puntata avrà una canzone?

“Sì è molto importante. Mi rendo conto che sia pesante chiedere al pubblico “Ora una bella canzone per voi” ogni volta ma se azzecchi il tono diventa facile farlo. Devi percepire che a quel punto ci sta bene una canzone, come nei musical”

Nonostante la serie sia molto scritta, come sempre capita per i prodotti televisivi, qui c’è un umorismo di recitazione inusuale e fortissimo.

Come siete riusciti a lavorare così sulla recitazione, cioè quel che le altre serie non riescono a fare?

“Pianificando, se è tutto pianificato e l'attore che hai scelto sa comunicare bene con il pubblico, allora puoi anche processare delle situazioni assurde attraverso la recitazione. La questione è la condivisione di qualcosa con lo spettatore. Io adoro Charlie Chaplin, lui fa ridere perché condivide con te cosa pensa di quel che lo circonda, lo fa attraverso i suoi occhi e ti viene da pensare: “Come farà ora?”. Michael è un attore che può fare la stessa cosa, non ha vie d'uscita e deve inventare qualcosa”.

Nella serie alcuni momenti di comicità escono unicamente da un’espressione o da come è gestito l’arrivo di una notizia, un lavoro minuzioso più simile a quello che fanno i film.

Gli attori dicono che li hai diretti in maniera maniacale, dicendogli alle volte anche quando strizzare gli occhi e quando no, è vero?

“Qui ho curato tutto, non sono stato solo sceneggiatore. Questo fa sì che fossi ammesso ad ogni meeting e non sia mai capitato che arrivassi sul set e trovassi una camicia che non volevo. Con questo tipo di cura facilmente arrivi a guadagnarti la fiducia degli attori e a poterti permettere di lavorare con loro anche sui dettagli. A mia discolpa comunque se guardi Gary Oldman in Il Quinto Elemento non batte mai gli occhi”.

Il protagonista è stato mandato in una missione per sventare i piani di armamento nucleare dell’Iran ed è circondato da un mondo di funzionari, senatori e capi serissimi ma anche di un lavoro che fa da copertura in cui tutti lo trattano come un impiegato.

Quanto siete stati realisti con il ritratto del mondo dell’intelligence?

“Non volevamo riflettere sull'intelligence ma prendere la sua integrità oppure la sua mancanza di integrità per creare suspense, non ci interessa essere seri con la questione. Il lavoro del protagonista ci serve a mettere tutto in moto ma il cuore poi sono i cambi di tono che creano tensione. Ad esempio già nel pilota si vede il suo collega nel lavoro-copertura, viene presentato come un alleggerimento comico, ti fa ridere ogni tanto, ma sa della copertura ed è un evidente strumento per la creazione di tensione. Vogliamo dare al pubblico più di una cosa insieme e questo è un compito gravoso che prendiamo seriamente”.

I riferimenti all’attualità sono molto forti in Patriot, tutto è ambientato nel 2012 e nomi, operazioni e questioni di politica estera sono nominate esplicitamente.

Perché quell’anno?

“Fu il punto più alto della crisi in Iran, quello in cui fecero fuori più scienziati. Nella seconda stagione (se si farà) abbiamo in piano di andare anche più indietro nel tempo. Alla fine lo show è un grande studio su come questo piano sia andato così male”.

In ogni puntata c’è molto nei corridoi della CIA, delle implicazioni con la politica, i soggetti coinvolti e il modo di procedere di queste operazioni.

Come vi siete documentati? Non è che esista molta letteratura sulle operazioni della CIA...

“Sì c'è poco, ma in fondo a noi interessava fino ad un certo punto il realismo, solo un elemento doveva essere vero: se metti un po’ di uomini insieme alla fine romperanno qualcosa. Un buon libro che abbiamo letto è Legacy of Ashes, un’esplorazione dei piani andati male della CIA. Non abbiamo preso singole operazioni da lì ma magari il loro esito disastroso sì”.

Il rapporto principale della serie è quello tra Micheal Dorman e Terry O’Quinn, padre e figlio, entrambi nella CIA. Con il figlio che sente di dover essere all’altezza delle missioni che gli affida il padre.

Che legame c’è tra i due davvero?

“La storia di un figlio che vuole soddisfare un padre è quel che tiene alto il rischio e la tensione, quel che desidera il protagonista. Anche il titolo, Patriot, gioca con l’etimologia di pater il rapporto che hai con patria e padre. Darsi al proprio paese come ci si dà alla famiglia”.

Quando hai presentato il pilota hai dovuto aspettare parecchio per sapere se sarebbe stato approvato? Eri nervoso?

“Molto. Temevo che un altro spy show cantato ci avrebbe fregato! [ride ndr] Non abbiamo potuto vedere i pareri di tutti gli spettatori che hanno visto i piloti però sappiamo che ciò che hanno apprezzato erano i momenti più strani e originali e non quelli più convenzionali, questo ci ha spinto a fare le altre puntate puntando molto sulle caratteristiche peculiari”.

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