Star Comics: intervista a Mathieu Salvia e Djet, gli autori di Babau

Mathieu Salvia e Djet rispondono alle nostre domande sul secondo e ultimo volume dell'horror Babau

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Qualche tempo fa, abbiamo letto e recensito per voi il primo volume di Babau, un'interessante avventura dai toni horror realizzata dai francesi Mathieu Salvia e Djet e pubblicata in Italia da Star Comics.

Grazie alla premura e gentilezza dello staff della casa editrice perugina, abbiamo avuto modo di leggere anche il secondo capitolo, quello conclusivo, e di rivolgere qualche domanda allo sceneggiatore e al disegnatore di questa storia dai toni oscuri e affascinanti.

Ecco cosa ci hanno raccontato i due:

Salve, Mathieu e Djet, benvenuti su BadComics.it!
Quella del babau è una figura folkloristica dai contorni e dalle origini molto sfumate, piuttosto oscure. Come mai vi affascina tanto?

Salvia - Alla base di questa storia c’erano due idee. Un ragazzino costretto a fuggire da una minaccia insieme a un compagno spaventoso e la voglia di rivisitare una figura popolare, conosciuta da tutti e forse anche un po’ datata. Il babau si è imposto in fretta. Tutti ne hanno sentito parlare, ma nessuno sa niente in proposito. Era perfetto.

Djet - Inizialmente, Mathieu è venuto da me con questo progetto sul babau, e aveva già cominciato a definire un punto di vista che mi piaceva per affrontare la storia. Mi parse subito che Mat proponesse quel qualcosa in più sulla storia, e mi ha messo voglia di darle vita sulla carta. Infine, la figura del babau è talmente sfaccettata che ho potuto lavorarci senza sentirmi prigioniero di una figura già definita.

Avete reso il vostro Padre Morte una specie di Babbo Natale Gotico e dimesso. Una scelta consapevole? Il vostro Babau redento è uno specchio deformante della fantasia confortante dei fanciulli per eccellenza?

Babau vol. 1, copertina di Djet

Salvia - Capire Padre Morte vuol dire capire come si può sentire qualcuno che è vissuto per secoli, che ha visto di tutto, fatto di tutto e provato di tutto per poi rendersi conto che ha sbagliato ogni cosa nella vita. Si tratta di qualcuno che è disilluso e perduto, che cerca un senso per la sua stessa esistenza.

Per Elliott, certo, è molto diverso. È prima di tutto l’essenza stessa della paura, il mostro per definizione. Colui che invoca per esorcizzare la paura che gli causa l’assassino dei suoi genitori. In seguito, però, diventa qualcos’altro… Ma questo si capisce bene dal secondo albo.

Djet - Per me, Padre Morte è un personaggio millenario, segnato dal tempo e dalla insulsaggine che il mondo gli ha lasciato sulle spalle. È segnato dal tempo, e si vede dalla sua barba da anziano, dal viso che racconta una storia. Non sono sicuro che sia percepibile anche in bianco e nero, la trasformazione di Padre Morte. Inoltre, il personaggio cambia anche graficamente, seguendo l’andamento della storia, rimanendo comunque un babau.

Il protagonista della storia è un bambino: da piccolo e indifeso essere da salvare a portatore di un messaggio di redenzione. Nessuno è davvero cattivo, tutti si possono salvare. In un'epoca di contrapposizioni nettissime, in politica e nella cultura, in cui pare che gli opposti non si parlino più, avete voluto fare riferimento anche all'attualità?

Salvia - In parte. Alcune tematiche mi sono care, e quelle che citi sono sicuramente presenti. Non amo le storie con buoni e cattivi, e detesto ancora di più quando i cattivi sono mostruosi. Qui il vero mostro è un uomo, non c’è niente di più normale. E i babau, per quanto pericolosi possano essere, arrivano dalle nostre stesse paure, dai nostri pensieri neri. Il fatto che Padre Morte possa cambiare, andare contro la sua stessa natura, era molto importante per me, così come il fatto che potesse aiutare un bambino a crescere e convivere con le sue paure.

Djet - Questa è di competenza di Mathieu, io disegno soltanto. [Ride]

Va bene, Djet, eccone una solo per te: per certi versi il tuo stile di disegno appare fortemente ispirato ai comics. Mi sono venuti in mente Capullo e McFarlane su "Spawn", alla fine degli anni Novanta. Da quali fonti di ispirazioni hai attinto?

Djet - È una direzione che ho preso in maniera naturale (seppur non senza difficoltà): il mio stile di base è piuttosto orientato verso la linea chiara, ma la storia mi ha incoraggiato a percorrere nuove vie più cupe e che mi permettessero di osare di più. Un po’ quel che è successo al nostro piccolo eroe, a ben vedere.

Ammiro molto Capullo, che ho scoperto con "La città dei gufi", un fumetto che mi ha portato a leggere anche quelli di Sean Murphy e di Matteo Scalera. Io sono anni luce lontano dal loro lavoro, ma mi è stato utilissimo come ispirazione nella mia ricerca sull’inchiostrazione.

Qual è stata la tua formazione nel settore? Come ti sei avvicinato al medium Fumetto?

Djet - Mi ci sono avvicinato lentamente, e con difficoltà! Sono un autodidatta del campo. È soprattutto grazie a degli incontri stimolanti che mi sono potuto evolvere, grazie a conversazioni e critiche costruttive. Ho passato alcune tappe importanti, discutendo e ascoltando altri parlare di fumetto. Poi, be’, c’è anche voluto molto tempo passato davanti al mio schermo o al mio album da disegno.

Che cosa ci aspetta in futuro? C'è qualcos'altro che bolle in pentola per voi, insieme o separati?

Salvia - Con Djet lavoro su una serie in quattro albi, il cui primo uscirà in Francia per Glénat a inizio 2020. A parte questo, ho firmato per un’altra serie di tre albi, sempre con Glénat, insieme a Johann Corgié.

Djet - Come dice Mathieu, abbiamo un progetto comune in quattro albi, ed è questo che mi impegna oggi. Poi c’è il secondo albo dell’adattamento di un romanzo per giovani lettori, "La rivière à l'envers", di J.C. Mourlevat.

Babau vol. 2, copertina di Djet

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